Solitamente, va detto, i dibattiti tra i candidati vice non sono troppo interessanti, avendo un impatto limitato. Quest’anno però, viste anche le peculiarità della campagna elettorale in corso, si registrava una discreta attesa per il confronto tra JD Vance e Tim Walz. Un duello che, tenutosi ieri sera a New York sulla Cbs, è alla fine stato vinto dal running mate di Donald Trump.
A confermare la buona performance di Vance è stato innanzitutto l’instant poll della stessa Cbs, secondo cui il senatore dell’Ohio si sarebbe aggiudicato la vittoria con il 42% dei consensi contro il 41% raccolto dal rivale (e a fronte di un 17%, secondo cui si sarebbe avuto fondamentalmente un pareggio). Dal canto suo, il Washington Post ha messo insieme un focus group di 22 elettori appartenenti a degli Stati in bilico: 14 di loro hanno attribuito la vittoria a Vance, otto a Walz.
Tuttavia, al di là di questi primissimi sondaggi a caldo, la migliore performance del candidato repubblicano è emersa da vari passaggi del dibattito. Vance è apparso particolarmente concentrato, evitando le divagazioni a cui, di contro, si era lasciato andare Donald Trump durante il duello con Kamala Harris il mese scorso. Il senatore dell’Ohio ha attaccato a testa bassa la candidata dem, rimproverandole i fallimenti in oltre tre anni di attività come vicepresidente degli Stati Uniti, picchiando duro soprattutto su inflazione, immigrazione clandestina e politica estera. L’efficacia di Vance è emersa anche quando si è trovato ad affrontare argomenti per lui potenzialmente scivolosi: dall’accusa agli haitiani di mangiare i gatti a Springfield all’aborto, passando per l’irruzione in Campidoglio del 6 gennaio 2021.
Walz, dal canto suo, ha indubbiamente tenuto testa all’avversario in più di un’occasione: non è quindi incorso in una debacle. Tuttavia, il governatore del Minnesota ha scontato due problemi, che gli hanno impedito di vincere o almeno di pareggiare. Innanzitutto, si è trovato in difficoltà su Iran, immigrazione e inflazione, a causa del fatto che la Harris è da oltre tre anni vicepresidente in carica. Ha quindi, sì, attaccato frontalmente Trump e Vance ma ha anche avuto la strada in salita nel difendere i risultati della candidata dem. In secondo luogo, ha avuto un momento di forte imbarazzo, quando le moderatrici gli hanno chiesto conto del fatto che varie testate giornalistiche lo avevano platealmente smentito quando aveva detto di essersi trovato a Hong Kong durante il massacro di Piazza Tienanmen. Walz ha replicato di essersi “espresso male”. “Ho cercato di fare del mio meglio, ma non sono stato perfetto. E a volte sono un idiota”, ha dichiarato. Un’affermazione, questa, che prevedibilmente i repubblicani rilanceranno per colpire il ticket dem.
Insomma, magari non avrà un impatto eclatante sulla corsa elettorale. Tuttavia la performance di Vance potrebbe aiutare Trump a guadagnare terreno negli Stati chiave, a partire da quelli della Rust Belt: non a caso, il senatore dell’Ohio ha tuonato contro la delocalizzazione della produzione manifatturiera in Cina e difeso politiche di autonomia energetica. Da questo punto di vista, Walz ha invece commesso l’errore di criticare la guerra commerciale avviata a suo tempo da Trump con Pechino: una linea, quella, che è invece stata storicamente apprezzata da ampi settori dei colletti blu di Michigan, Pennsylvania e Wisconsin. Ricordiamoci sempre che, al di là delle dinamiche televisive, i duelli presidenziali li vince chi sa parlare più efficacemente ai segmenti cruciali dell'elettorato americano. Soprattutto quest'anno, il mondo operaio della Rust Belt si rivelerà decisivo. E ieri sera a essere in sintonia con quel mondo non è stato Tim Walz.