VOGHERA. Promesse di lavoro, soldi e pacchi alimentari in cambio di voti: l’accusa di corruzione elettorale dopo tre anni dall’avvio dell’indagine sarà vagliata in un processo. Il giudice Vincenzo Giordano ha deciso, al termine dell’udienza predibattimentale, il rinvio a giudizio di Francesca Miracca, ex assessora comunale al Commercio di Voghera, eletta nel 2020 con 573 preferenze nella coalizione “Lega Salvini Lombardia”, e per sei elettori, che avrebbero concorso nel reato di voto di scambio. Gli elettori devono rispondere, in sostanza, di avere accettato i presunti favori in cambio del loro appoggio alla candidata per le elezioni comunali a Voghera di quattro anni fa. Il processo è stato fissato per il 25 ottobre davanti alla giudice Elena Stoppini.
Quali accuse
Miracca, secondo la procura, avrebbe consegnato pacchi alimentari, denaro e promesso posti di lavoro e lo sblocco di permessi edilizi e dei lavori di sistemazione igienico-sanitaria alla comunità Sinti di Voghera. Con lei è imputata anche la principale accusatrice, la 58enne vogherese Assunta Onorato: era stata lei a depositare l’esposto in procura. Una denuncia sottoscritta da 21 elettori. Alcuni di questi, interrogati nel corso delle indagini, avevano ammesso di avere ricevuto pressioni e qualche regalo. La stessa Onorato è accusata di avere fatto da tramite (come da lei stessa ammesso) per raccogliere i voti per la candidata Miracca tra altri elettori, persone in condizioni di disagio e difficoltà economica, in cambio di denaro e di pacchi alimentari.
Vanno a processo anche Valentina Lacco, 34 anni, Andrea Di Simone, 46 anni, Francesco Patti, 42 anni (figlio di Onorata), e Marianna Cammarata, 32 anni, tutti residenti a Voghera. La procura contesta anche un episodio specifico a Miracca, che avrebbe consegnato 3mila euro a Maria Sbarra, che a sua volta avrebbe girato 500 euro alla Onorato. Sbarra alcuni mesi fa aveva patteggiato la pena di 4 mesi ed era uscita dal procedimento.
La difesa
La difesa di Miracca, sostenuta dall’avvocato Daniele Cei, aveva chiesto il proscioglimento sulla base della presunta irregolarità di 17 firme sulle 21 alla base dell’esposto. Firme, secondo il legale, risultate false o apposte da persone che non erano consapevoli di quanto stavano firmando. «A questo punto aspettiamo il processo – si limita a dichiarare Cei –, fiduciosi di poter evidenziare le incongruenze del teorema accusatorio, già oggi chiare». —