Mercoledì sera – 11 settembre – in una conferenza indetta davanti alla sede della Città Metropolitana di Genova, il sindaco Marco Bucci ha negato quanto andava ripetendo fino al giorno prima: la sua assoluta indisponibilità a candidarsi come tappabuchi del cratere aperto dal Totigate per due ragioni: non tradire l’impegno con gli elettori genovesi, che lo avevano rieletto per la seconda volta Primo Cittadino, e le precarie condizioni di salute che lo tormentano da tempo (sotto forma di metastasi linfonodale da neoplasia cutanea. Per capirci, una forma tumorale della pelle).
Dunque più dell’onore (e più delle precarie condizioni fisiche) poté l’incredibile bulimia di protagonismo in questo personaggio, paracadutato nella politica locale per mancanza di meglio a destra dal 27 giugno 2017, cui impreviste congiunture astrali hanno determinato una preoccupante dilatazione dell’Ego, ascesa a vera e propria iomania. L’enfatizzazione di alcune manie apprese in un periodo lavorativo americano – impiegato nella vecchia Kodak, l’azienda fallita di attrezzature fotografiche – poi amministratore per nomina pubblica di un buyer di prodotti informatici da sovrafatturare per mantenere un organico gonfiato per ragioni clientelari: il mito dell’uomo solo al comando, il culto della fretta e il vizio di infarcire i propri discorsi con espressioni slang degli States.
Da questo mix nasce il tanto strombazzato “modello Genova”, nient’altro che la traduzione organizzativa dell’adagio “non disturbare il manovratore”. Dunque l’abolizione di qualsivoglia controllo, dalla legalità alla qualità. Perché Bucci ha visto una scritta nel cielo “in questo segno FAI”. Dunque l’uomo del fare, che in campagna elettorale dichiara “fare male è meglio che non fare”. E guai a fargli perdere tempo.
Intanto la catastrofe del ponte Morandi diventava visibilità nazionale (oltre che un flusso di denaro da spendere, mai visto in passato dall’ex impiegato). Da qui il nuovo ponte (bruttino) costruito in fretta e furia, tanto che i tecnici prevedono che non resterà in piedi a lungo. Poi ecco un’altra luce nel cielo, rappresentata dalla seconda pioggia di euro del Pnrr, che alimenta il delirio di onnipotenza di chi ha fatto incetta di incarichi commissariali – dopo la Ricostruzione del Ponte anche alla Diga foranea del porto di Genova – e che di quei soldi fa scialo incontrollato, come il Fatto Quotidiano ha più volte segnalato. Perché la Diga è l’investimento infrastrutturale più costoso dell’intero Piano Nazionale – si dice che un miliardo, ma forse sono due – gestito come un investimento privato. A partire dalle incomprensibili(?) regalie all’appaltatore Webuild per ben 253 milioni di euro prima ancora dell’inizio lavori.
E quando un consulente dell’operazione disturba la narrazione dell’epopea bucciana segnalando i rischi di una struttura poggiata su fondali sabbiosi, viene messo a tacere con oscure minacce. Guai a disturbare l’epopea in corso: dall’offerta di mettere a disposizione della Padania l’acqua di mare desalinizzata della Padania inaridita (che – come ironizzava Crozza trasformerebbe il Mar Ligure in Mar Morto), alla mania di progettare soluzioni di mobilità urbana a mezzo tapis roulant impensabili per un’orografia sali-e-scendi quale quella genovese. Tutto al servizio di un culto della personalità di un buffo naturale che lasciato fare rivela alta pericolosità per megalomania.
Ma che ha fatto una certa presa sull’immaginario collettivo di un territorio in profonda crisi da decenni e aspetta disperatamente l’uomo della provvidenza. Anche se delle tante mirabilie annunciate dall’uomo del fare non una è andata in porto. Ma sembra proprio che ancora la pubblica opinione non se ne sia resa completamente conto.
Per questo il fenomeno mediatico Bucci potrebbe continuare a funzionare, mantenendo la Liguria sotto il controllo della destra. Come gli ha pronosticato la nuova luce apparsagli nel cielo: la premier Giorgia Meloni, consegnandogli la spada Excalibur per una nuova impresa. Ossia sconfiggere il candidato del campo allargato a camposanto predisposto dalla sempre più estraniata (dalla realtà e dall’identità di sinistra) Elly Schlein: l’insapore Andrea Orlando, che se da responsabile Giustizia Pd fotocopiava i progetti per conto di Berlusconi dell’avvocato Ghedini sulla separazione delle carriere dei giudici, ora fotocopia tutti i tormentoni della destra; da bravo blairiano di provincia: l’ormai mitologico Terzo Valico, la Gronda che nessuno sa cosa sia e a cosa serva, la Diga costruita sulla sabbia.
Per cui Bucci potrebbe persino farcela, nonostante la catastrofe d’immagine del Totigate. E – del resto – non sembra sia stato destrutturato il blocco elettorale che ci ha regalato questo decennio di concussori affaristi e di visionari specialisti in ballismi.
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