Il bivio della storia per Elly Schlein è arrivato. Di già. E a differenza del titolo della sua autobiografia (L’imprevista) era ampiamente previsto: che fare davanti alla possibilità che l’Italia, guidata dal destra-centro, possa avere – grazie a Raffaele Fitto – un ruolo di primo piano nella nuova Commissione Ue? Altro che le fisime del campo largo, Renzi sì o Renzi no, una spruzzata di Calenda e Fratoianni come se piovesse. Qui la questione riguarda il campo vastissimo e fatale, il ruolo dell’Italia nei prossimi cinque anni, e concerne un elemento che appare straniante o addirittura perturbante agli eredi del Pci: che fare, necessità della Nazione o richiamo della “fazione”?
La cosa è tanto semplice quanto carica di significato. No, non c’entrano la maggioranza Ursula (già smontata dopo la prima votazione, quella sulle commissioni parlamentari, dove Ecr è entrato grazie alla ricomposizione del centrodestra), gli equilibri parlamentari (la Commissione Ue, frutto dei governi nazionali, sarà marcatamente di centrodestra) o la fantomatica rappresentatività di agende (i Verdi, determinanti per eleggere Von der Leyen, non avranno alcun Commissario).
Tutto fumo per distogliere l’attenzione dal focus: l’Italia – e il punto, casomai, è chiedersi perché non l’abbia ottenuto prima con governi, dicono, ultra-europeisti…– è in predicato di ottenere non solo un portafoglio economico importante ma una vicepresidenza esecutiva. Frutto del peso della terza economia dell’Ue ma anche, è chiaro, delle capacità dimostrate da Giorgia Meloni in questi primi due anni di coabitazione con gli altri partner europei e dell’affidabilità garantita alla Commissione del ministro Fitto sul dossier fondamentale, quello del Pnrr.
Abbiamo un’occasione storica, insomma, per determinare come sistema-Paese porzioni non indifferenti del futuro dell’Ue. La nomina di Fitto, oltretutto, si integrerebbe con due agende – fornite da Mario Draghi ed Enrico Letta – che certificano il ruolo degli italiani, di diversa estrazione, nell’elaborazione di soluzioni continentali in un tornante fondamentale della storia. Davanti a questo l’arrampicata sugli specchi dalle parti del Nazareno, tentativo maldestro di nascondere il ricatto dei “compagni” del Pse, qual è? «È necessario che Fitto dia segnali ampiamente europeisti…». Insomma, la possibilità di votare un italiano per la Commissione sarebbe subordinata al suo tasso di adesione all’agenda che piace al Pd. Puro teatro dell’assurdo.
Un segnale non incoraggiante da parte di Elly Schlein e per le ambizioni governiste che sostiene di coltivare. Giorgia Meloni, all’epoca leader dell’opposizione, riuscì a dimostrare agli osservatori nazionali e internazionali le caratteristiche da statista davanti a bivi del genere: lo fece durante l’emergenza Covid, sul dossier Ucraina e – proprio all’origine del governo giallo-rosso – con l’appoggio a Paolo Gentiloni (premier uscente, appena sconfessato alle urne) a Commissario Ue. Pure di recente, quando necessario, FdI anche nel Parlamento europeo non ha battuto ciglio nel votare diversamente dal suo stesso gruppo: è accaduto su un tema di grande importanza come il Patto migrazioni e asilo. Nel nome, udite udite, dell’interesse nazionale.
Adesso la prova di maturità tocca ad Elly Schlein e al suo suo Pd. Ci sono due possibilità: da una parte c’è l’Italia, dall’altra c’è il “campo largo” delle sinistre Ue a trazione anti-italiana. Il Pd da che parte sta?
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