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La vittoria di Sinner allo US Open (Ercoli, Azzolini, Piccardi, Semeraro)

Un marziano tra noi (Lorenzo Ercoli, Corriere dello Sport)

Dal dubbio alla gloria, Jannik risponde “no, grazie” a polemiche e possibili danni di immagine. In fondo si chiede solo una cosa agli atleti: risultati. E guarda caso il campione di Sesto non ha mai perso la bussola, tenendo il tennis al primo posto. Le chiacchiere? L’eco della noia quando c’è astinenza da tornei: consigli per l’anca, tonsilliti, Olimpiade e persino le sottili frecciatine dei colleghi. Tutto questo è evaporato nel momento in cui il trofeo ha rivelato inciso il nome di Jannik Sinner, dopo quello di Flavia Pennetta, che lo ha vinto nel 2015 in finale contro la Vinci. Il numero 1 del mondo batte Taylor Fritz per 6-3 6-4 7-5 e mette le mani sul secondo Slam della carriera […]. L’azzurro ha imparato a convivere con una mente sollevata dalla sentenza sullo sfortunato caso doping, ma tormentata dal vociare che lo ha circondato. Ha saputo affinare il suo tennis dopo le difficoltà di Montreal […] e il successo inaspettato di Cincinnati, non sufficiente a placare i nervi alla vigilia di uno Slam dove la parola vittoria sembrava un miraggio. […] La spavalderia a stelle e strisce, si scontra subito con tensioni inevitabili. Dopo cinque punti […] smash in corridoio ed è immediatamente break tricolore. Fritz viene confortato dal tutto esaurito dell’Arthur Ashe che, nonostante il tifo, ha riservato a Jannik il rispetto e l’ammirazione destinati ai numero 1. Un boomerang che consente allo statunitense di ritrovarsi e prendere le redini del gioco. Gli effetti? Un contro-break fulmineo sul 2-2 […]. Come previsto, Fritz dal centro del campo costruisce con il suo potente dritto. Jannik resiste, cercando pazientemente il momento per girarsi e spingere il suo dritto inside out, in un tentativo di sfuggire alla diagonale di destra. A ritmi così alti, sbagliare è inevitabile, ma nel quinto gioco l’americano passa indenne […]. L’altoatesino cambia marcia non appena inizia a rispondere con precisione, costringendo l’avversario a rincorrere. Non a caso, Jannik strappa il break del 4-3 […]. Una manciata di minuti dopo Fritz perde per la terza volta la battuta e Sinner imprime un 6-3 nel primo parziale. Nessuno dei due mostra grandi lacune nel proprio tennis, tuttavia, nei momenti chiave, emerge l’inevitabile: il tennis del miglior Sinner domina quello del miglior Fritz. L’americano, per tenere il passo, può attenersi solo a un piano ben definito senza potersi inventare colpi di scena. Si naviga così fino al 5-4, quando, nel decimo gioco, Sinner scatta e conquista un solido 6-4. Non bastasse, all’inizio del terzo set, Jannik infligge un ulteriore colpo emotivo al suo avversario. Partenza incerta al servizio, ma la paura dello 0-40 si dissolve con cinque punti consecutivi. Nel settimo gioco l’allievo di Vagnozzi/Cahill fa prove di titolo, ma l’idolo di casa si salva da 15-40. Dopo averne annullate due, è lui a concretizzare le palle break a disposizione. […] Quando l’americano serve per allungare la contesa, riemerge la qualità più notevole del Sinner collezione primavera-estate: la capacità di brillare nei momenti chiave. Nel decimo gioco, Fritz si lascia sopraffare dall’emozione vicino alla rete, concedendo un contro-break cruciale. Il numero 1 del mondo rimette la testa avanti; e ancora prima di un eventuale tie-break, è game, set e US Open.

JanniKing (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Forse un giorno la ricorderemo come una finale facile, ma non è vero, le finali dello Slam non sono quasi mai scontate […]. Sull’ultimo errore di Taylor Fritz, Sinner si fa trovare a braccia alzate, sembra un campione di ciclismo sotto il traguardo, nel giorno del mondiale. C’è commozione, non lacrime. E di lì a poco ci sono gli abbracci con Cahill e Vagnozzi, il bacio ad Anna, le strette di mano al pubblico che lo ha apprezzato anche nella giornata in cui lo sconfitto è il ragazzo di casa, quello che avrebbe dovuto rilanciare il tennis statunitense. Ma Sinner è il numero uno, e se c’era un’occasione per ribadirlo, è venuta proprio da questo torneo, nel quale ha dovuto battere tutti, in campo e fuori. Implacabile sul cemento, l’autentico re di questa superficie, che gli ha dato due Slam e due Masters 1000. Forte ovunque, gestore incredibile delle situazioni più complicate. […] Ha sconfitto il doping, i malpensanti a gettone, le malelingue, quelli che pensano di esistere solo parlando male degli altri. Sinner ha affrontato la scalata con l’animo di un ragazzo che vuole divertirsi con quello che fa. Ha vinto tutto e ne è uscito uomo, fatto, esperto, completo. È una storia bella, quella di JS, in una stagione di grandi vittorie per il tennis italiano […] ed è probabile che la parte migliore debba ancora venire. Per lui e per noi. Sei trofei vinti in stagione, sedici da inizio carriera, 55 successi e appena cinque sconfitte alla svolta dell’ultimo Slam, 11.180 punti in classifica, sicuro numero uno a fine anno. Chi vuole batterlo deve spingere il proprio tennis al ritmo di quello di Sinner. Fritz, prossimo numero sette in classifica, ci è riuscito per tre game appena. Anestetizzare l’altrui aggressività, continuando a dare libero sfogo alla propria, è uno dei rebus più antichi del tennis e non è di così facile soluzione come alcuni sembrano ritenere. Non è una gara a chi ringhia di più, a chi fa la voce grossa […]. Piuttosto, la soluzione […] è quella di offrire all’avversario le dovute dimostrazioni dell’inutilità del suo affannarsi per essere oltremodo irruente e bellicoso. Questa la strada scelta da Sinner; […] sin dal primo game del match, Jannik ha inoculato a Fritz i dubbi che sarebbero poi serviti a rendere via via più fragile il suo tennis, e magari meno invadenti i cori a sostegno del ragazzo di casa da un pubblico generoso […] ma non troppo convinto delle possibilità del proprio rappresentante. […] Si chiude qui, con due vittorie per parte, tra Sinner e Alcaraz, la prima vera stagione del rinnovamento. La guida Sinner, dall’alto di un equilibrio che lo spagnolo ancora non riesce a dimostrare. Ma la strada è tracciata, e non c’è posto né per Fritz, né per altri. Siamo nell’era dei SinAl. Sinner e Alcaraz, sono loro i più forti, ma il numero uno è nostro.

«Dedicato a mia zia che non sta bene. Fuori c’è la vita vera» (Gaia Piccardi, Corriere della Sera)

«Dedico questo trofeo a mia zia. Non sta bene: non so per quanto ancora l’avrò nella mia vita. È bello poter condividere i momenti importanti con chi ti vuole bene. Io lavoro per alzare queste coppe però al di fuori del tennis, c’è la vita vera». […] Il tennis è moltissimo, però non tutto. C’è la famiglia d’origine in Alto Adige, che lo vede pochissimo da quando, tredicenne, se ne andò di casa. C’è la fidanzata Anna, baciata in mondovisione sulla scia di questa nuova consapevolezza. Ha solo 23 anni appena compiuti, il re di New York, ma l’esperienza ne ha fatto un uomo saggio. «Ho sempre pensato che il campo di Flushing mi si addicesse — racconta — ma una volta ho perso con Alcaraz sprecando un match point, e quella dopo con Zverev in cinque set. La vittoria a Cincinnati mi ha dato fiducia in un periodo non facile e qui a New York l’aspetto mentale ha avuto un ruolo determinante». La pressione di queste ultime settimane è sfociata in un’esultanza contenuta, vissuta interiormente. E nell’abbraccio con il team: «Loro sono la mia famiglia del tennis, mi conoscono bene. I coach piangevano? Non li ho visti. Ho chiuso gli occhi e ho guardato il cielo». Adesso, con la coppa dell’Open Usa in mano, chiederà di riscuotere la scommessa fatta con Cahill e Vagnozzi a Montreal: «Avevamo detto che, se fossi arrivato almeno in una finale nello swing americano, mi avrebbero dovuto regalare la PlayStation 5!». Le ha vinte tutte e due, quelle finali: Cincinnati e New York. Cahill ride: «Ha intascato 3,6 milioni di dollari, quella PlayStation può permettersela da solo! Ma ogni promessa è debito e c’è anche il regalo di compleanno […]». Il coach è soddisfatto: «Vagnozzi ha lavorato sulla transizione del gioco di Jannik da difesa ad attacco — spiega—, io ho cercato di tenere unita la squadra nella tempesta. Quando Jannik si è svegliato, ieri mattina, l’ho visto pronto. In Australia, davanti alla sua prima finale Slam, era più nervoso». La stagione delle 55 vittorie e dei 6 titoli gli ha dato fiducia: «Sì ma qui ha cominciato perdendo un set e andando sotto di un break con McDonald. Ha giocato con 40 chili sulle spalle, mi chiedo anch’io come abbia fatto…». Alla fine, Cahill ha pianto: «Ero esausto! Ho cercato di tenerlo focalizzato, gli ho ripetuto tutti i giorni: non hai fatto niente di male, Jannik, adesso vediamo come uscirne. Lo stress è stato enorme però lui è nato con la mentalità del campione. Quando ho iniziato a lavorare con Jannik ero certo diventasse numero uno del mondo». […]

Capitan America (Stefano Semeraro, La Stampa)

Piccola partita, grandissimo risultato: Jannik Sinner congeda la buona volontà di Taylor Fritz in tre set (6-3 6-4 7-5) ed è il nuovo campione degli Us Open, il primo italiano (maschio) di sempre a mordere la Mela. Fanno due Slam vinti in un anno, il numero uno stretto in pugno e una certezza ben stampata in faccia a tutto l’universo del tennis: il più forte, oggi, è lui. Non il più spettacolare, okay, […] ma il più continuo, il più determinato, quello sì. […] Nell’era Open solo un pugno di immortali è riuscito a vincere in Australia e a New York nella stessa stagione: Rod Laver nel 1969, l’anno del suo secondo grande Slam, John Newcombe nel ’73, Jimmy Connors nel ’74, Mats Wilander nel 1988, poi Roger Federer e Novak Djokovic per ben tre volte a testa. Sinner, il più giovane del gruppo, appartiene alla razza di quelli che si sognano sovrani molto prima di esserlo, possiede insieme l’ottimismo della volontà e la freddezza della ragione. Gli Us Open, forse, li ha vinti quando ha affrontato la conferenza stampa della vigilia, maneggiando con la stessa scioltezza che esibisce in campo le domande sulla vicenda Clostebol. Per mesi si era covato dentro un malumore profondo, quando ha potuto liberarsene ha capito che non c’erano avversari in grado di impensierirlo. Non l’Alcaraz dubbioso di sé stesso, non il Djokovic appagato del dopo Olimpiadi, né l’ex bestia nera Medvedev, a cui aveva già visto le carte a Melbourne. Jannik così si è preso il lusso di vincere uno Slam senza mai giocare al meglio, o facendolo solo a tratti. Taylor Fritz, il primo finalista americano degli Us Open dal 2006 di Roddick […], non ha colpi in grado di impensierirlo, e nel primo set ha pensato bene di affossarsi da solo servendo il 39 per cento di prime. Per impensierire un avversario nettamente superiore doveva rischiare il rischiabile, stropicciarsi l’anima. È riuscito a farlo, in parte, solo alla fine del terzo set, quando si è trovato a servire sul 5-3 – prima di inciampare di nuovo sui propri limiti e sulla forza mentale della Volpe. «Questo titolo per me vuol dire tanto, in un periodo della mia carriera importante e non facile. Amo il tennis, mi alleno tanto per arrivare a traguardi come questi, ma ho capito che fuori dal campo c’è una vita che va oltre il tennis», ha detto Jan, premiato da Andre Agassi […]. Jan ora ha davanti due sfide. Una di cui non ha il controllo – la decisione della Wada, che entro stanotte può appellarsi all’assoluzione per doping – e una che minaccia di ripetersi da qui a fine carriera, l’ordalia con Charlie Alcaraz. L’unico che quest’anno lo ha veramente domato, a Indian Wells e a Parigi, e che ha spadroneggiato quando Jannik era sotto indagine dell’antidoping. L’appuntamento è per le Atp Finals, a Torino.

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