Se questo è l’effetto delle sanzioni, potremmo chiederne un po’ anche noi: la Russia corre quest’anno a un ritmo del 4 per cento, vanta un tasso di disoccupazione di appena il 2,4 per cento e i redditi dei cittadini crescono del 14 per cento. Numeri che fanno impallidire la performance italiana: se va bene il nostro Pil salirà quest’anno dell’1 per cento con il 7 per cento di disoccupati. Perfino gli Stati Uniti fanno peggio dei russi, con un Pil al 3,1 per cento e una disoccupazione al 4,3 per cento. Anzi, nessuna capitale occidentale presenta dati di crescita migliori di quelli di Mosca. Eppure la Russia è stata bersagliata da una raffica di sanzioni fin dall’annessione della Crimea nel 2014 e poi dall’invasione dell’Ucraina nel 2022: blocco dell’importazioni di una serie di prodotti, esclusione delle banche dai circuiti internazionali, congelamento dei beni della Banca centrale russa, chiusura delle sedi di molte aziende occidentali, oligarchi messi al bando. Misure a cui Mosca ha risposto con iniziative analoghe contro le importazioni dall’Europa e dagli Usa. Nel caso dell’Italia, le nostre esportazioni verso la Russia sono passate da 7,6 miliardi di euro nel 2021 a 4,6 miliardi nel 2023 e continuano a scendere, mentre le nostre importazioni, soprattutto gas, petrolio e carbone, sono crollate nel triennio da 13,9 a quattro miliardi di euro, una caduta che non si ferma: tra gennaio e aprile di quest’anno gli acquisti sono diminuiti di un ulteriore 50 per cento.
Nonostante questo, le prospettive per la nazione guidata da Vladimir Putin sono positive anche per il futuro: per la fine del 2024 il Fondo monetario internazionale prevede che il Paese crescerà del 3,2 per cento, più di Regno Unito, Francia e Germania, mentre per il 2025 si aspetta un aumento del Pil dell’1,8 per cento. Naturalmente la situazione economica di Mosca non è tutta rose e fiori: l’inflazione viaggia oltre il 9 per cento, mentre i tassi di interesse veleggiano sul 15 per cento per difendere il rublo. Chi ha conoscenti nelle città lontane dalla capitale riferisce di molti negozi con le saracinesche abbassate, della mancanza di tanti beni occidentali, rimpiazzati da un’invasione di prodotti cinesi. Però il clima tra i consumatori russi è tutt’altro che negativo, visto che i redditi aumentano più dell’inflazione. Secondo Petya Koeva Brooks, vicedirettore del Fondo monetario, a sostenere l’economia di Mosca sarebbero gli investimenti delle imprese aziendali e statali e la «robustezza del consumo privato». Sberbank, la più grande istituzione finanziaria del Paese, osserva infatti che a giugno la spesa complessiva dei consumatori è aumentata del 20 per cento anno su anno in termini nominali.
Il settimanale britannico The Economist scrive che «il potere d’acquisto dei russi sta aumentando rapidamente. In contrasto con i cittadini di quasi tutti gli altri Stati, loro non si lamentano dell’economia. La fiducia dei consumatori, misurata dall’agenzia statistica locale, è ben al di sopra dei livelli di quando Putin ha assunto il potere 24 anni fa». In base alle informazioni raccolte dall’Economist, i russi sarebbero più inclini a fare grandi acquisti, come un’auto o un elettrodomestico, e i ristoranti sarebbero presi d’assalto. L’anno scorso la Russia ha importato il 18 per cento in più di cognac rispetto al 2019 e l’80 per cento in più di spumante. Inoltre le sanzioni occidentali vengono spesso aggirate mentre il Paese continua a esportare gas e petrolio in grandi quantità: quest’anno la Russia incassa ancora circa 750 milioni di euro al giorno grazie all’export di fonti fossili, contro il 1.100 milioni del 2022. La Cina è oggi il maggior acquirente di petrolio e carbone russi, mentre l’Unione europea è il primo consumatore di gas liquefatto.
Ad alimentare il benessere dei russi è soprattutto la politica fiscale di Putin, che rispetto alla prima ondata di sanzioni post-2014 ha cambiato linea, passando dall’austerità all’espansione: grazie alle enormi riserve finanziarie accumulate nella fase «di stretta», oggi Mosca può permettersi di aumentare la spesa pubblica, che in media si è gonfiata del 15 per cento sia nel 2022 e nel 2023. E di conseguenza quest’anno il deficit di bilancio salirà al 2 per cento del Pil, un valore che a noi sembra piccolo ma per gli standard russi è molto pesante. La spesa pubblica si riversa sull’industria bellica per sostenere la guerra in Ucraina, ma non solo. A luglio Putin ha raddoppiato il bonus federale per coloro che si iscrivono a combattere. Il governo sta impegnando ingenti somme per risarcire le famiglie delle persone uccise in azione. Sono previsti aumenti per alcune pensioni, investimenti nel welfare e nelle infrastrutture come le autostrade. Spese «à go-go» per tenere buona la popolazione. Per quanto tempo? Secondo un’analisi pubblicata dalla rivista Fortune a firma di quattro economisti, di cui due della Yale University, uno svedese e un ucraino, Putin sta bruciando nel camino tutto l’arredamento di casa e sulla Russia incombe una «catastrofe economica». Putin non può gestire i deficit di bilancio per sempre: ai tassi attuali, le riserve della Russia spariranno nel giro di cinque anni e a quel punto saranno dolori, mentre nel frattempo l’inflazione farà arrabbiare i cittadini. E nel frattempo le sanzioni potrebbero diventare più dure.
In un documento del 25 luglio scorso siglato dai ministri delle Finanze di Danimarca, Estonia, Finlandia, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi, Polonia e Svezia, si invita l’Occidente ad «aumentare ancora di più la pressione» sulla Russia. Gli otto ministri scrivono che «il presidente Vladimir Putin e il suo regime autoritario stanno spacciando la falsa narrazione secondo cui l’economia russa è forte e che la sua macchina da guerra è illesa dalle sanzioni occidentali. Questa è una bugia che va confutata. In effetti, ci sono molti segni che la loro economia di guerra si sta deteriorando. Le sanzioni e altre misure per indebolire l’economia sono efficaci, ma si può fare ancora di più. Dobbiamo continuare ad aumentare la pressione sul regime di Putin e sostenere l’Ucraina». Nel documento si sottolinea che l’economia di Mosca è sempre più orientata verso l’industria bellica, sostenuta da un grande stimolo fiscale.
Le fabbriche di armi sono già al massimo della capacità. La disoccupazione è scesa al punto che il presidente avrebbe approvato la sostituzione della reclusione in carcere con il lavoro forzato. Il mercato del lavoro sotto tensione sta provocando il rialzo dei salari, mentre il rublo più debole aumenta i prezzi delle importazioni e sta contribuendo a un’inflazione sempre più elevata, nonostante gli sforzi della Banca centrale russa per combatterla con alti tassi di interesse. Insomma, ciò che potrebbe essere percepito e scambiato come una «spinta» per la crescita sarebbe invece l’inizio di una «ri-sovietizzazione» dell’economia.