Nel recente passato, gli studiosi di valore erano scoraggiati dall’esporsi troppo in pubblico. Per un eccellente studioso era importante godere di un’ampia notorietà tra i cultori della sua materia. Se acquisiva alti livelli di notorietà presso la pubblica opinione, la gente iniziava a guardarlo con sospetto. Chi governava l’accademia tendeva a pensare che quel ricercatore trascorresse troppo tempo nelle redazioni e troppo poco in laboratorio. Non era gelosia della popolarità, ma il sospetto che quel famoso studioso si preoccupasse più della pubblicità e della autopromozione che della ricerca.
Tutto ciò si traduce nell’effetto Carl Sagan, ossia “la percezione che gli scienziati popolari e visibili sono accademici peggiori degli scienziati che non s’impegnano nel discorso pubblico”. Prende il nome da Carl Edward Sagan (1934-1996). Fu un eccellente astronomo americano e, nello stesso tempo, un divulgatore scientifico molto popolare, la cui nomina presso la Accademia Nazionale delle Scienze fu sonoramente bocciata, così come la sua conferma in cattedra a Harvard. E pensare che le sue metriche — gli indici di produttività e notorietà scientifica oggi molto di moda — sono tuttora di assoluta eccellenza, nonostante che sia trascorso molto tempo.
In Italia siamo abituati a una certa elasticità da parte delle Accademie nella scelta dei propri membri, giacché “il bordello è l’unica istituzione italiana dove la competenza è premiata e il merito riconosciuto” secondo la lezione di Indro Montanelli. Negli Stati Uniti, invece, le Accademie sono rigorosamente fedeli al merito. La vicenda di Sagan fece quindi discutere a lungo.
Per contro, la ricerca, le idee e le voci degli studiosi, soprattutto dei più giovani, sono esattamente ciò che i media, i politici, gli “stakeholder” tutti dovrebbero ascoltare. Soprattutto nel campo delle discipline che concorrono alla scienza del clima. Il cambiamento climatico influisce su ogni aspetto del sistema terrestre, si manifesta attraverso cambiamenti degli assetti meteorologici, dei livelli marini, della criosfera, del ciclo idrologico e di quelli biogeochimici. E tocca ogni aspetto della vita, dall’alimentazione alla salute, dalla disponibilità idrica alla stabilità socio-politica, dell’economia alle infrastrutture. Sarebbe perciò fondamentale che le conoscenze e le informazioni sulla scienza del clima fossero accessibili, diffuse, comprese e discusse.
In questi giorni si parla molto della formazione e della sorte dei dottori di ricerca italiani. Preferirei che fossero gli stessi giovani ricercatori a comunicare direttamente quando hanno scoperto anziché i divulgatori professionali, non sempre preparati, non sempre accurati, non sempre fedeli alla diffusione del sapere bensì all’enfatizzazione e alla strumentalizzazione politica più effimera. Come possono i giovani farlo se nei loro curricula non trova spazio la formazione sui social media e sui media tradizionali, sulla comunicazione scientifica e sulla gestione dei conflitti?
Secondo lo State of Science Index di 3M, nel 2023 gli europei si fidavano molto della scienza (88%), ma molti avevano difficoltà a capire quali fossero le fonti di informazione scientifica credibili (soltanto il 48%). Un recente studio del Pew Research Center ha rilevato che la fiducia degli americani e le opinioni positive nei confronti della scienza continuano a diminuire (Figura 1). Tutto ciò è il risultato della disinformazione, di atteggiamenti ideologici e di derive complottistiche, di profonde lacune nella conoscenza scientifica dei cittadini. Tuttavia, un fattore irrilevante è la testardaggine della comunità scientifica che si rifiuta di raccontare le proprie storie in modo comprensibile ed eloquente.
Alcuni scienziati hanno saputo trasmettere il loro sapere senza intermediazioni. Il libro A Brief History of Time (Dal big bang ai buchi neri: breve storia del tempo) di Stephen Hawking (1942-2018) è diventato un bestseller, capace di rendere accessibili ai non-scienziati argomenti cosmologici complessi, come la natura dello spazio e del tempo. Il premio Nobel Richard Feynman (1918-1988) è noto per i suoi contributi di elettrodinamica quantistica e fisica delle particelle, ma fu anche capace di tradurre idee complesse in spiegazioni semplici e intuitive: libri come Stai scherzando, Mr. Feynman! o Cinque pezzi facili hanno trasmesso il sapere fisico a un vastissimo pubblico. In Italia, l’astrofisica Margherita Hack (1922-2013) è stata una formidabile divulgatrice, forse volendo seguire la lezione di Laura Bassi (1711-1778) che fu la prima donna chiamata a una cattedra universitaria, capace di trasmettere, anche con veemenza, il suo sapere in materia di acqua, aria ed elettricità al pubblico.
La divulgazione scientifica non va considerata un contributo di livello inferiore o, addirittura, un’attività che pregiudica la ricerca scientifica. La divulgazione è invece necessaria per far progredire la cultura nella società. Le grandi, difficili, pericolose sfide nel campo della scienza e dell’ingegneria hanno bisogno di un continuo confronto con la società, un dialogo senza pregiudizi con il pubblico. E sono i giovani ricercatori a dover affrontare questa sfida sulle orme di Galilei e Volta, Torricelli e Marconi, Bassi e Hack.
L'articolo Effetto Carl Sagan: gli scienziati più popolari sono accademici peggiori? No, divulgare serve proviene da Il Fatto Quotidiano.