La terza guerra mondiale scoppierà per Trieste? L’ipotesi da gesto apotropaico è stata rilanciata di recente dal sito di un think tank moscovita, in cui si ipotizza un futuro da snodo strategico continentale per la città, ed è in consonanza con alcune preoccupazioni emerse ultimamente in alcuni ambiti dell’indipendentismo triestino per una presunta «militarizzazione del porto di Trieste». Ci sono le premesse, insomma, per un caso studio su come le più piccole ed originali istanze politiche del Vecchio continente possano trovarsi in sintonia con la propaganda russa.
L’articolo si intitola What the hell is happening in Trieste («che diavolo sta succedendo a Trieste?») e lo si trova sul sito della Strategic Culture Foundation: la Scf è parte dell’innumerevole schiera di siti di “controinformazione” in lingue occidentali che compongono la galassia della propaganda russa. L’articolo è corredato con una foto allarmante, in cui Sergio Mattarella compare in primo piano attorniato da militari in una città di mare, mentre sullo sfondo entra in acqua una portaelicotteri appena varata. Il sito ben si guarda dal segnalarlo, ma la foto non è stata scattata a Trieste: è il varo della nave (questo sì) “Trieste”, avvenuto a Castellamare di Stabia nel 2019.
Leggendo l’avvincente articolo, fondato su immancabili fonti riservate, si scopre che nei giorni scorsi il capoluogo del Fvg avrebbe ospitato un incontro segretissimo fra non meglio specificati membri della Nato, esponenti delle istituzioni civili e militari italiane, collaboratori di Donald Trump e Viktor Orban, nonché – dulcis in fundo – la massoneria triestina. In questo incontro si sarebbe parlato della possibilità che l’Ucraina cada e che un domani l’Europa si trovi con la necessità di stabilire un nuovo fronte di difesa, destinato a passare da Trieste.
Il capoluogo regionale viene tirato in ballo a causa della “dottrina Trimarium”, leggiamo, che secondo il teorico realista americano Nicholas J. Spykman imporrebbe il controllo del triangolo Baltico-Mar Nero-Adriatico per il contenimento della Russia.
Trieste sarebbe quindi condannata da necessità geopolitica a fare da vertice adriatico della strategia americana. A ben guardare, però, le cause e conseguenze implicate non sono poi solide.
Il controllo dei tre mari è un concetto strategico polacco prima che Usa, stabilito dal maresciallo Pilsudski dopo la Grande guerra, e ispirato al precedente della confederazione polacco-lituana: i polacchi l’hanno rievocato nel contesto dell’Ue dal 2016, con una “Iniziativa dei tre mari”, che include a vario titolo una quindicina di Paesi, ma non l’Italia (e quindi Trieste). I suoi scopi sono però improntati al dialogo economico e alle infrastrutture, laddove al momento la questione militare è coperta dalla Nato. È la delicata e complessa rete degli equilibri diplomatici dell’Europa orientale, in cui Washington ha un ruolo primario ma non certo quello del manovratore onnisciente.
Perché mai la propaganda russa dovrebbe dedicarsi a scrivere iperboliche ucronie su Trieste? Secondo un’impostazione condivisa anche da alcuni quotidiani italiani, Mosca seguirebbe una strategia unitaria per la diffusione del caos ideologico in Occidente, la “dottrina Gerasimov”, dal nome di un oscuro generale sovietico. Peccato però che, come certe letture del “Trimarium”, anche “Gerasimov” sia il frutto di un vecchio equivoco, nato quando un cremlinologo britannico scambiò un articolo passato inosservato per un piano strategico dell’Armata rossa (ne ha scritto di recente il sito dissipatio.it). Ciò non significa, ovviamente, che la Russia non conduca oggi una guerra di propaganda. A trame labirintiche e reti di agenti, il Cremlino pare preferire l’approccio pragmatico (ed economico) di offrire spazio ai punti di vista “anti-sistema” e separatisti, anche i più bislacchi, purché in sintonia con Mosca.
È infatti italiano e non russo l’autore dell’articolo Lorenzo Maria Pacini. Pacini è un interprete italiano del pensiero di Aleksandr Dugin, filosofo russo e fondatore della “Quarta teoria” politica: un polpettone geopolitico che spazia da Stalin agli esoterismi del filosofo del neofascismo, il «barone» Julius Evola.
Anche se si è voluto vedere in lui l’ideologo di Putin, Dugin è semmai una figura della controcultura russa, sempre all’anticamera del potere, la cui rete di sostenitori è da qualche anno inglobata dalla pragmatica macchina del Cremlino in chiave nazionalista.
Il filosofo ne fu travolto nell’agosto 2022, quando Darya Dugina – sua figlia – morì nell’esplosione di un’autobomba a lui dedicata. Attivo dagli anni Ottanta, Dugin ha raccolto cultori un po’ ovunque, Italia inclusa. Li troviamo anche a Trieste, dove da tempo l’associazione d’area indipendentista “Fronte della primavera triestina” coltiva rapporti con le organizzazioni eurasiatiste russe.
Nel maggio scorso il “Fronte” organizzò all’ateneo di Trieste una conferenza che vedeva come relatori il giornalista brasiliano Pepe Escobar (passato dalla critica degli Usa all’elegia dei russi), il filosofo e docente universitario Andrea Zhok e lo stesso Pacini, autore dell’articolo. Nicchie d’opinione, di fatto, e posizioni radicali minoritarie che nel grande scontro delle narrazioni contrapposte finiscono per tornare utili a un grande interesse, trovando risonanza.
Quando si parla di complotti, è inevitabile però chiedersi se non contengano un proverbiale granello di verità. Non avremo l’intelligence del professor Pacini, ma non troviamo riscontri su fantomatici incontri segreti, né risultano frenetiche attività militari all’ombra della torre del Lloyd. Il rischio è che a svelare la trama si scopra l’acqua calda: la regione Fvg è già un territorio militarizzato per ragioni storiche, ospitando una base di portata continentale come Aviano.
E Washington non ha mai dimenticato il suo vecchio protettorato, s’è visto quando per fermare la Via della Seta l’ambasciatore americano a Roma venne a Trieste per conferire con Zeno D’Agostino, o ancora poi con l’arrivo di British American Tobacco, o nei frequenti viaggi oltreoceano del presidente Massimiliano Fedriga. Si nota pure quando una portaerei nucleare butta l’ancora in golfo. Anche senza massoni, business as usual. —
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