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Perché? Le ultime parole di Sharon al suo assassino. E una vicina denuncia: raptus? Tutti sapevano, avevamo paura di lui

Perché? Lo ha chiesto incredula e scioccata Sharon al suo assassino mentre lui infieriva sul suo corpo con un coltello. Sì, perché? Neanche il killer, l’italiano di origini maliane Moussa Sangare, sa ancora rispondere all’interrogativo che riecheggerà nelle menti dei familiari della vittima, e probabilmente anche nella sua, per il resto delle loro vite. Perché quello della 33enne barista della Bergamasca è un delitto senza movente. Un omicidio sferrato a freddo senza un fine criminale se non quello di uccidere. O meglio, come hanno spiegato procuratrice e inquirenti all’atto della conferenza stampa, un delitto compiuto non a scopo di aggressione sessuale o a fini di rapina, ma semplice un’azione rispondente al desiderio di uccidere. Una conclusione che rende ancora più tragicamente vano il sacrificio di una vita…

Perché, perché? Le ultime parole di Sharon al suo assassino

«Perché, perché, perché?». Sharon Verzeni si sarebbe rivolta così a Moussa Sangare mentre veniva accoltellata a morte in Via Castegnate a Terno d’Isola. Parole che il 31enne, che ha confessato l’omicidio della barista 33enne compiuto nella notte tra 29 e 30 luglio, a quanto si apprende ha riferito in prima persona agli inquirenti, fornendo anche i dettagli di quell’assalto inconsulto, durante l’interrogatorio nella caserma del comando provinciale dei carabinieri di Bergamo. E infatti, prima di colpire Sharon Verzeni con una coltellata al petto, a cui ne sarebbero seguite altre tre alla schiena, Sangare – sempre a quanto lui ha riferito – si sarebbe preventivamente scusato con la 33enne, come ad avvertirla dei fendenti che stava per infliggerle ancora. E ancora…

Sangare, l’assassino di Sharon lunedì affronterà un nuovo in interrogatorio

Sono dettagli inquietanti, quelli emergono dall’interrogatorio del killer di Sharon, che gettano ancora più angoscia e dolore su un caso che di sconcerto, indignazione, rabbia, sofferenza e incredulità, ne ha già scatenate tante. Una dose di emozioni contrastanti che sicuramente si eleverà al quadrato lunedì mattina a partire dalle 9, quando Sangare sarà nuovamente interrogato in carcere a Bergamo. Il pm Emanuele Marchisio e la procuratrice facente funzioni Maria Cristina Rota hanno chiesto oggi al gip la convalida del fermo di Sangare, accusato di omicidio con l’aggravante della premeditazione e dei futili motivi. E mentre tra carte bollate e rituali giudiziari il procedimento a carico del 31enne residente nella Bergamasca va avanti, si continua a disquisire su quello che è un efferato delitto senza movente.

Legale della famiglia di Sharon: «Non si parli di raptus improvviso»

«Ho sentito parlare in queste ore di “raptus improvviso”. Di “scatto d’ira” e assenza di premeditazione”» scrive in una nota il legale della famiglia Verzeni Luigi Scudieri, facendo notare «tuttavia che, stando alle informazioni rese pubbliche ieri, il signor Moussa Sangare sarebbe uscito dalla propria casa di Suisio con ben quattro coltelli di significative dimensioni e prima di uccidere Sharon a Terno d’Isola ha avuto tutto il tempo di minacciare anche altre due persone». Da qui è scaturito  l’appello ai due ragazzini che sarebbero stati minacciati da Sangare, che – scrive l’avvocato – «farebbero bene a farsi avanti».

«Verosimile incapacità»? Il legale della famiglia della vittima promette battaglia

Ma non c’è solo l’incognita dei due minori sollecitati a intervenire ad alimentare il giallo. Ciò che incombe sulla vicenda, infatti, sono la miriade di considerazioni sui dubbi, sollevati dal legale del 31enne, sulla salute mentale del suo assistito. «Mi ha molto stupito, inoltre, che si sia parlato di “verosimile incapacità” subito dopo il fermo, prima ancora di un esame completo di tutti gli atti di indagine e del pieno completamento degli accertamenti investigativi» fa sapere il legale che, sui punti in esame, promette battaglia.

La testimonianza della vicina dell’assassino di Sharon

E a sostegno dell’approccio del legale della famiglia di Sharon è intervenuta nelle scorse ore anche una vicina di casa del killer. «Avevamo paura» di Moussa Sangare, dichiara la donna. «Dicevo a mio marito e mio figlio di stare alla larga da lui. È un anno che denuncio, ho chiamato sindaco, assistenti sociali e carabinieri», ma «qua deve succedere il fatto perché qualcuno intervenga». A sfogarsi con i giornalisti appostati fuori dalla casa di Suisio in cui viveva il 31enne fermato per l’omicidio di Sharon Verzeni è Clotilda, che da sette anni vive sotto la famiglia Sangare. «Alle tre di notte sentivo le botte, sembrava che venisse giù il soffitto», dice la donna, descrivendo Sangare come «una persona con rabbia accumulata, che nel subconscio ha il male. Non era gentile, era fuori di sé».

«Avevamo paura di lui, tutti sapevano, non si parli di raptus»

Per questo la vicina invita a non far passare l’omicidio di Sharon Verzeni «come un raptus: perché lui ha fatto violenza alla sua famiglia». Non solo: la donna riferisce anche che Sangare avrebbe «incendiato casa sua. C’era fumo». E poi «stava qua strafatto, dovevo passargli sopra. «Entrava» nella casa del pianterreno occupata dopo la denuncia per maltrattamenti da mamma e sorella «dalla finestra. Lo trovavamo qua di notte alle tre o alle quattro». Una situazione che «tutti conoscevano», secondo la donna, che osserva come al posto di Verzeni «potevo esserci io o mio figlio»…

Intanto nella Bergamasca si tira un sospiro di sollievo…

Intanto, le comunità coinvolte loro malgrado nel caso, tirano un sospiro di sollievo per il fermo di Moussa Sangare, il 31enne reo confesso dell’omicidio di Sharon Verzeni. Anche se lo choc per un crimine senza apparente motivo, di cui poteva restare vittima ognuno degli abitanti di Terno d’Isola, resta in sospeso e sembra continuare ad aleggiare tra i sentimenti prevalenti di quei paesi della Bergamasca, chiamati a interrogarsi all’indomani della svolta che ha portato in carcere il presunto assassino, sul coacervo di malessere che cova sotto la cenere di un’apparente normalità quotidiana.

Uno strano ritorno alla normalità

«Almeno sanno chi è e non è di Terno, dopo tutto quello che si è detto sulla gente di qui», mormora la panettiera del paese. E di «sollievo» parlano esplicitamente i pensionati che affollano le panchine di Piazza VII Martiri, dove – denunciano i residenti – con il progressivo diminuire di troupe televisive e forze dell’ordine «stanno tornando anche gli spacciatori». Un ritorno alla “normalità”, testimoniato anche dal ritorno di passanti ieri sera per le strade del paese.

La paura e lo choc

«Prima la gente aveva paura di uscire, c’era chi stava chiuso in casa, soprattutto le donne», spiegano in piazza. Una paura fondata, stando a quanto emerso fino a ora sull’omicidio di Verzeni. Sangare «ha colpito lei, ma poteva essere chiunque», sottolineano in tanti. «Noi abbiamo sempre pensato che non fosse un delitto passionale, perché Sharon era così timida. Veniva qui, prendeva caffè e brioche e andava via. Pensavamo a uno scambio di persona», confessa una dipendente della pasticceria. «Invece così è assurdo:  poteva capitare a chiunque». Eppure, già adesso il pensiero del rischio scampato viene subito scacciato via: «Altrimenti non si vive più…». E tra la gente ora la preoccupazione principale è che il 31enne «la paghi davvero».

Matone (Lega): «Anche quello di Sharon è un femminicidio»

Una vicenda, quella dell’omicidio di Sharon, che – residenti a parte – non smetterà a breve di porre domande e sollevare inquietanti recriminazioni. Come testimoniano le parole dell’ex magistrato Simonetta Matone, deputato della Lega, che sul caso ha osservato: «Rimango perplessa nel leggere come la morte violenta di Sharon Verzeni venga classificata come semplice omicidio (magari opera di un reietto della nostra società) e non come l’ennesimo grave femminicidio. Casomai va scandagliato quel mondo di alienazione dove vivono migliaia di giovani italiani di prima, seconda e terza generazione, che non danno nessun valore alla vita dell’altro, fino ad uccidere una ragazza che faceva semplicemente jogging».

E ancora. «È il concetto della sopraffazione – rileva l’ex toga – del dominio (soprattutto sulle donne) che invade la nostra società, dove si intrecciano culture diverse mettendo in discussione la nostra civiltà italiana e occidentale. Ma forse per Sharon, vittima classificata di omicidio semplice, non ci saranno fiaccolate e indignazione mediatica». Trasformandola in una «vittima per la seconda volta del politicamente corretto»…

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