Nelle pieghe oscure della giustizia italiana le irregolarità nelle procedure fallimentari e nelle aste giudiziarie svelano una realtà torbida, alimentata da relazioni troppo «corte» che sembrano permettere di manipolare il destino di aziende e proprietà. Casi di corruzione e malaffare disegnano una mappa di illegalità che coinvolge vari tribunali italiani. Dove però, spesso, è anche difficile capire da quale parte si trovino le verità. Catania, un luogo dove le inchieste giudiziarie si accumulano come dentro una polveriera pronta a esplodere, è sotto i riflettori non solo per l’insediamento del nuovo capo della Procura, Francesco Curcio, la cui nomina è stata contrastata al Plenum del Consiglio superiore della magistratura proprio con una registrazione, effettuata da una giudice sotto procedimento disciplinare, in cui si parlava, coincidenza, della gestione del settore fallimentare del Tribunale etneo.
Qui, una giudice denuncia di essere stata messa alle strette dal suo capo per aver tentato di far saltare il banco del malaffare. E la questione, tra querele e controquerele, si è complicata così tanto da finire al centro di un dibattito tra i consiglieri del Csm parallelo a quello ufficiale del Plenum. Alla fine Curcio l’ha spuntata per un voto e sulla sua nuova scrivania catanese troverà già i faldoni con le nuove scoperte dell’indagine ribattezzata «Athena», che ha svelato un sofisticato sistema di controllo delle aste giudiziarie. Un clan, quello dei Laudani, attraverso un cartello, quello dei Morabito-Rapisarda, avrebbe esercitato un controllo sistematico sulle vendite immobiliari, intimidendo chiunque osasse partecipare alle aste e assicurando che gli immobili finissero nelle mani dei «clienti» del clan. Ma c’è anche un’indagine nella quale l’avvocato che avrebbe dovuto tutelare i titolari di un bene finito all’asta alla fine se l’è aggiudicato.
Curcio, nel proprio bagaglio professionale, ha una certa esperienza del settore. Da Potenza, dove guidava la Procura, aveva scoperto che a Lecce il garbuglio di relazioni non era meno allarmante. Gli incarichi disposti dal Tribunale, in un circolo vizioso di favoritismi, sarebbero finiti sempre agli stessi professionisti. Gli accertamenti giudiziari hanno svelato un presunto sistema in cui un giudice, Pietro Errede, noto per aver indagato in passato sul rapimento del piccolo Tommy Onofri a Parma, insieme con una rete di commercialisti e avvocati, avrebbe gestito i fallimenti come se fossero un affare personale, in cambio di gioielli, viaggi e altre utilità. Tra gli indagati c’era il suo compagno, Alberto Russi. E la toga, davanti al giudice dell’udienza preliminare, si è difesa, sostenendo che «l’indagine era frutto di un pregiudizio omofobo» e che era stata «costruita sul pettegolezzo spicciolo fatto sul bagnasciuga delle spiagge salentine». Un complotto contro di lui, insomma.
Sempre a Lecce un altro capitolo oscuro riguarda Alessandro Silvestrini, presidente della sezione fallimentare accusato di corruzione in atti giudiziari. Proprio nei giorni in cui il Csm doveva decidere sulla sua nomina a presidente del Tribunale, Silvestrini, secondo l’accusa, avrebbe ricevuto il sostegno da un commercialista, Massimo Bellantone, che avrebbe promesso di favorirlo negli ambienti della politica a caccia dei membri laici del Csm. La difesa ha interpretato questo supporto come il gesto di un amico di vecchia data, mentre la Procura sostiene che la raccomandazione sarebbe stata legata, e non solo temporalmente, alla nomina di Bellantone come delegato alla vendita di un immobile. Un presunto scambio di favori. Alla fine Silvestrini, che respinge le accuse, sostenendo che i colleghi che l’hanno indagato gli hanno distrutto la vita, ha ritirato la sua candidatura.
Anche a Latina è emerso un groviglio di relazioni, come minimo, spericolate. La Procura di Perugia ha da poco chiuso un’inchiesta su un ex giudice delle indagini preliminari, Giorgia Castriota, e su due amministratori giudiziari: Silvano Ferraro e Stefania Vitto. Sono stati ipotizzati i reati di corruzione in atti giudiziari e induzione indebita a dare o promettere utilità. L’indagine era partita da una denuncia del legale rappresentante di alcune società sequestrate per reati tributari, che segnalava opacità nella gestione dei suoi beni. Si è scoperto che il giudice avrebbe favorito l’assegnazione di incarichi a persone con cui intratteneva rapporti personali consolidati: il compagno e un’amica. In cambio avrebbe ricevuto gioielli e un abbonamento annuale per la tribuna d’onore dello stadio Olimpico, a Roma.
Anche a Latina, come a Lecce, l’indagine si è intrecciata con la vita privata degli indagati. La Castriota, infatti, si è difesa sostenendo che l’inchiesta non ha svelato «reati, ma solo comportamenti deontologicamente non corretti». E a proposito di Ferraro ha affermato: «Tra noi c’è amore ed è sbagliato dire che stavamo insieme per interesse». E i soldi che Ferraro le tornava indietro sarebbero state «solo un contributo alle spese per la casa».