L’azzurra Valentina Petrillo partecipa alle Paralimpiadi francesi, al via oggi con le prime gare che assegnano le medaglie. Petrillo, napoletana, 50 anni, è la prima atleta transessuale della storia a partecipare alle Paralimpiadi. Ipovedente da quando aveva 14 anni – a causa della sindrome di Stargardt – la velocista correrà nella categoria femminile T12 (prove su pista con l’aiuto di una guida) per i 200 e 400 metri. Ha iniziato il suo percorso di transizione di genere nel 2019, quando aveva 45 anni, dopo molto tempo in cui ha cercato di adattarsi a ciò che la società le imponeva. Durante la giovinezza il suo idolo fu Pietro Mennea, a Parigi – oltre alla vittoria – cercherà di lanciare il suo personale messaggio, come dichiarato a Fanpage: “Io devo dare una speranza, voglio diventare il simbolo di un mondo che si sta ribellando“. Nel corso della carriera è stata vittima di discriminazioni e cyberbullismo, anche da parte di altre atlete e colleghe. La sua storia è stata raccontata anche in un documentario, 5 nanomoli. Nell’atletica leggera i 5 nanomoli per litro è la concentrazione limite di testosterone consentita alle atlete che intendano gareggiare nella categoria femminile. Una delle sue ultime partecipazioni è stata al meeting di Lignano Sport e Solidarietà, uno dei più importanti (e aperti) dell’atletica.
Il sogno Mennea, la sindrome di Stargardt e il coming out
L’amore per la corsa di velocità ha attraversato l’intera vita di Petrillo. Il colpo di fulmine per l’atletica scatta nel 1980, vedendo Pietro Mennea vincere i 200 metri a Mosca. Il commento di un allenatore la spinge a ripiegare sul calcetto e una patologia agli occhi complica ulteriormente le cose. Durante gli esami di terza media si accorge di non leggere bene: la diagnosi è di degenerazione maculare ereditaria. Poi si trasferisce a Bologna, dove trova un lavoro nell’informatica, e inizia a fare atletica sul serio. “Nel ’95 ho buoni risultati, potrei classificarmi per le olimpiadi di Atlanta, ma non mi sento a mio agio come uomo e lascio perdere – raccontò a Repubblica – La mia ultima gara maschile è a ottobre del 2018″. Nel frattempo, nel 2016, il matrimonio con una donna che, dice, “mi ha sempre sostenuto nel mio nuovo percorso”. Con la terapia ormonale il corpo è cambiato e le prestazioni sono crollate: “Il primo mese sono ingrassata dieci chili, per 90 giorni non sono riuscita a correre, mi faceva male tutto. Sono stati mesi distruttivi”. Petrillo ha vinto 11 titoli nazionali nella categoria maschile di atletica leggera paralimpica. Nella categoria femmile ha ottenuto un quinto posto agli Europei paralimpici 2021, due medaglie di bronzo ai Mondiali e ora Parigi è dietro l’angolo.
Petrillo ha iniziato il trattamento ormonale a gennaio del 2019 e può gareggiare perché rientra nei parametri dell’eleggibilità per atlete trans ‘he to she’ fissati nel regolamento della World Athletics: in 12 mesi continuativi una concentrazione certificata di testosterone inferiore a 5nmol/L. Il suo debutto nell’atletica femminile è stato l’11 settembre 2020. “La mia presenza (alle Olimpiadi, ndr) è un importante momento di riflessione per tutti, può essere d’aiuto anche sul fronte del linguaggio. Certe convenzioni fanno male alle nostre vite, come ad esempio usare il nome della nostra precedente vita (il dead name). C’è discriminazione dal punto di vista linguistico verso le persone trans e disabili” ha dichiarato a Fanpage.it. Nel decalogo istituito nel 2022, il Cio al punto 5 parla di ‘principio di non presunzione di vantaggio‘: “Non puoi presumere che una persona abbia un vantaggio anche se è nata maschio“, afferma riferendosi al caso di Laurel Hubbard, sollevatrice di pesi e prima atleta transgender a partecipare ai Giochi Olimpici (a Tokyo): la sportiva neozelandese non si qualificò per la finale.
Cosa dice il Cio
A partire dal 2016 non è più richiesto l’intervento chirurgico, nel 2021 il Cio ha eliminato dal regolamento anche gli esami invasivi e la centralità dei livelli di testosterone per stabilire se un’atleta possa gareggiare o meno nella categoria femminile. I limiti massimi per le atlete transgender, anche negli altri sport, possono essere 10 nanomoli per litro registrati nei 12 mesi precedenti: “Io ho 0,000001, quindi ben al di sotto del limite previsto” aveva precisato Valentina Petrillo nel film 5 nanomoli. Il sogno olimpico di una donna trans. “La rivoluzione avviene nel 2015 con le linee guida del Cio che dice: dovete includere le persone trans. È stato dimostrato tramite degli studi che con dei valori di testosterone entro i 10 nanomoli le persone transgender sono equiparabili alle performance di una donna”.
Discriminazioni, spogliatoi separati e minacce online
Negli ultimi anni, Valentina Petrillo è stata al centro di polemiche e di discriminazioni da parte di alcune colleghe di pista. In occasione dei campionati italiani master indoor di Ancona del 2023, infatti, un comitato di 30 atlete aveva inviato una diffida alla Federazione per bloccare l’ingresso di Petrillo negli spogliatoi femminili: “Mi hanno messo a disposizione un bagno e uno spogliatoio separato rispetto a quello delle altre atlete, ma sulla porta c’era scritto ‘bagno genderless, privato e uomini‘ e infatti era frequentato dagli atleti, aveva le docce aperte e anche gli spogliatoi. Non c’era alcuna privacy, per me è stato molto imbarazzante. L’ho fatto presente alla Fidal, ma non hanno risolto il problema”. Le stesse atlete si erano sentite non alla pari, a causa della sua partecipazione nella categoria F50 di Valentina. A causa di insulti e minacce via social, Petrillo ha dovuto rinunciare ai mondiali Master in Polonia.
L'articolo È azzurra la prima atleta transgender alle Paralimpiadi. La storia di Valentina Petrillo: l’idolo Mennea, la transizione, il documentario proviene da Il Fatto Quotidiano.