L’Azienda sanitaria universitaria giuliano isontina (Asugi) ha detto no di nuovo a Martina Oppelli e alla sua richiesta di accedere al suicidio medicalmente assistito. La commissione medica che ha rivalutato il suo caso dopo che il Tribunale di Trieste aveva ordinato all’Asugi il 17 luglio scorso di ripetere entro 30 giorni la procedura ha confermato che Oppelli, una donna triestina ammalata di sclerosi multipla e resa tetraplegica dalla malattia, non è sottoposta a trattamenti di sostegno vitale.
Una risposta, articolata in 70 pagine, che per Filomena Gallo, presidente dell’associazione Luca Coscioni e parte del collegio difensivo di Oppelli, «insulta la sofferenza di Martina» e «ignora la sentenza 135 del 2024 della Corte costituzionale», un pronunciamento arrivato il 18 luglio scorso che chiarisce che il sostegno vitale è da intendersi in senso ampio e non comprende esclusivamente macchinari e farmaci ma anche la cura di terzi.
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Oppelli stessa era stata ammessa a giudizio dalla Consulta. La Coscioni dunque annuncia che alle 15.30 di giovedì, 29 agosto, presenterà in una conferenza stampa a Trieste «ulteriori iniziative giudiziarie in risposta al diniego». Ma Asugi in una nota rivendica la correttezza del suo operato e ritiene che sia proprio sulla base di questa sentenza «preceduta da un parere del Comitato nazionale di Bioetica approvato a maggioranza» che è arrivata alla sua decisione: il nodo è che i trattamenti vitali possono sì essere forniti da caregiver ma devono essere «di tipo sanitario» e «senza i quali la morte del paziente interverrebbe anche in tempi relativamente brevi».
L’Azienda sanitaria nella nota sottolinea come l’accertamento che viene chiesto di eseguire «ancora oggi, nonostante la crescente domanda, non ha un riferimento normativo». L’analisi di Asugi è criticata da Gallo: «Nella relazione si solleva il dubbio che la macchina della tosse, più che una necessità terapeutica, abbia uno scopo ‘preventivo’, quasi come se la prevenzione del soffocamento fosse un vezzo». Oppelli tra la prima e la seconda visita di Asugi è diventata dipendente da questo macchinario, un dispositivo che elimina le secrezioni bronchiali.
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Ma tra Commissioni tecniche multidisciplinari, Nuclei etici per la pratica clinica, Comitato nazionale di Bioetica, tribunali ordinari e Corte costituzionale, quello che rimane è il dolore di Martina Oppelli, che per la Coscioni è così «condannata a una sofferenza senza fine».
Lei afferma: «Non posso, non voglio, subire una tortura di Stato».
Infatti, fa sapere, «secondo i medici dovrei assumere ulteriori farmaci che potrebbero, o forse no, attenuare il dolore ma privandomi della lucidità e, dunque, della capacità di decidere. E di lavorare per conservare una parvenza di esistenza “normale”. Dovrei sottopormi a ulteriori esami diagnostici ed, eventualmente, permettere che il mio corpo sia violato da tubi, sonde o quant’altro».
Ancora una volta si legge nelle sue parole la forza di una persona che da quando ha deciso di esporsi mediaticamente ha portato avanti con coraggio quella che molti chiamano una battaglia per i diritti civili. Ma lei specifica: «Ho sempre pensato che tutte le battaglie fossero inutili, non siamo in guerra. Questo è un doveroso percorso giudiziario nel pieno della legalità per far valere il diritto di accesso al suicidio medicalmente assistito». Una lucidità e una «capacità di pensare, parlare e autodeterminarsi» che la sclerosi non le ha tolto pur avendola «privata di qualsiasi movimento» e che non vuole le sia tolta dai farmaci. Tornando al merito legale della questione, il suicidio medicalmente assistito è consentito in Italia grazie a spazi aperti dalla Corte costituzionale in assenza di una legge.
La Consulta nella sentenza Cappato/Dj Fabo ha stabilito quattro criteri per accedervi: che la persona sia capace di autodeterminarsi, che soffra per una patologia irreversibile, che sia fonte di sofferenze fisiche o psicologiche ritenute intollerabili, e che sia dipendente da trattamenti di sostegno vitale. Ma esattamente che cosa costituisca un trattamento di sostegno vitale ha generato dibattito e pronunciamenti divergenti in Italia da parte delle varie aziende sanitarie.
O anche da parte della stessa azienda sanitaria, proprio come nel caso di Asugi, che ha accompagnato “Anna”, una donna triestina resa tetraplegica dalla sclerosi multipla, al suicidio medicalmente assistito ma detto di no alla richiesta di Martina Oppelli. E nemmeno la recente sentenza 135/2024 è applicata in modo uniforme: Gallo infatti ricorda che «diverse aziende sanitarie hanno preso atto dell’intervento di questa sentenza, modificando le loro conclusioni su persone malate in condizioni simili a quelle di Oppelli».