Era la primavera del 467 a.C. quando Eschilo, il primo grande drammaturgo dell’antichità, scrisse e mise in scena alle Grandi Dionisie di Atene, I sette contro Tebe.
Ovverossia la lotta tra Eteocle e Polinice, figli dannati di Edipo, per la conquista di Tebe. Una lotta che porterà alla morte di entrambi. Una storia antichissima il cui senso trova oggi nuove e più drammatiche risonanze nelle molte guerre che vedono popoli un tempo fratelli (palestinesi ed ebrei, russi e ucraini, solo per dire dei più prossimi a noi) scontrarsi in un conflitto che probabilmente non vedrà vincitori, ma soprattutto vedrà sconfitta la possibilità di una pace certa e duratura.
Come sempre il teatro greco continua a parlarci. Ed è quanto sta accadendo a Osoppo dove è in corso il Tiere, Festival Internazionale di Teatro antico. E dove questa sera, alle 21 al Forte, andrà in scena Sette, una riscrittura contemporanea della tragedia eschilea creata da Auretta Sterrantino per l’interpretazione di due sorelle, Carlotta Maria e Giulia Messina. Auretta Sterrantino, docente di storia del teatro e messinscena tragica all’Istituto del dramma antico (Inda) di Siracusa, terrà sempre oggi, alle 18 una conferenza strettamente legata alla rappresentazione, dal titolo Mito in tragedia: Edipo e la sua stirpe. Sette dunque.
«Sette – racconta Serrantino – è uno studio a partire dai Sette contro Tebe. Laddove per studio non intendo quello che spesso è in ambito teatrale, vale a dire una proposta che ancora non ha raggiunto la sua forma definitiva, ma studio come un lavoro che scava nei meandri di un testo, ne fa sue le tematiche e cerca di esprimerle con i linguaggi del contemporaneo che saranno poi alla base della messa in scena».
Nel caso di Sette come ha proceduto, e che tipo di scrittura ha usato, visto che le parole sono le sue e non quelle di Eschilo?
«La mia è una scrittura di tipo poetico, che a seconda dei temi affrontati cambia stile cifra umori e anche registri. E’ una scrittura che punta molto sul suono, che dialoga con una lingua che tenta di rimanere alta, pur essendo chiara verosimile e contemporanea, e al tempo stesso con le sonorità del greco antico».
Per quanto riguarda la drammaturgia, Sette che cosa racconta?
«Da questo punto di vista lo spettacolo è come se fosse diviso in due parti. La prima è quella più strettamente legata al testo eschileo, in cui si evidenzia il sentimento dell’attesa di qualcosa di incombente, fatto di paura, di apprensione e di panico generati dalla consapevolezza di una guerra inevitabile e imminente, che si scatenerà di lì a poco tra i due fratelli contendenti il potere a Tebe. La seconda parte propone il dialogo, il confronto tra i due fratelli, le loro motivazioni e le aspettative che la società ha verso di loro. E in cui si configurano i destini come espressione di un codice etico che si prolungherà poi nel tempo, con le due visoni contrapposte del mondo e della giustizia incarnate da Antigone e Creonte. Così da un sentimento generale e universale si arriva al vissuto dei singoli, il cui portato però rimane sempre universale».
Perché Sette?
«Perché al di là dei due gruppi di sette guerrieri che si combattono alle porte di Tebe, sette sono anche le ore che separano l’annuncio della battaglia alla battaglia vera e propria con la lotta mortale tra i due fratelli. Un tempo reale ma al tempo stesso mitico, simbolico».