Non è la tecnologia il problema, ma è come quest’ultima viene utilizzata. Questa frase è una sorta di mantra che abbiamo sentito spessissimo se applicata all’ecosistema digitale. A maggior ragione, avrebbe senso se si considerasse per intero quello che sta succedendo negli ultimi giorni con Pavel Durov, il fondatore di Telegram arrestato in Francia. Se valutiamo per bene tutti i 12 capi d’accusa che lo hanno consegnato alle autorità transalpine (a partire da un’indagine iniziata l’8 luglio scorso), comprendiamo ancora meglio per quale motivo la piattaforma sia stata per anni una sorta di terreno franco per gli utenti e per quale motivo, tra un messaggio e un gruppo privato, si sono viste diverse nefandezze popolare le varie chat dell’app di messaggistica con l’aeroplanino di carta come logo.
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Com’è evidente a tutti, sia agli utenti, sia a coloro che seguivano le azioni di Telegram attraverso organi di stampa, l’app di messaggistica istantanea è stata sempre terreno fertile per lo scambio di materiale pedopornografico, per lo scambio di materiale coperto da copyright, per il revenge porn, ma anche per scommesse clandestine, per traffico di stupefacenti, per il trattamento non verificato e non sanzionato di dati personali sensibili. Giornalettismo ha un lungo campionario di esempi che può citare: questo è quello che era stato evidenziato, ad esempio, in Gran Bretagna nel 2022, ma ancor prima Telegram è stato terreno di diffusione del famigerato gruppo di revenge porn che ha il nome di un testo sacro, è stato terreno di ricerca di video specifici di revenge porn connessi a episodi di cronaca (come quello di una maestra d’asilo e del video fatto trapelare attraverso un gruppo del calcetto), è stato il luogo dove si scambiavano link e suggerimenti sulle scommesse clandestine. Su Telegram erano stati individuati anche gruppi (che, però, poi si autorigeneravano sistematicamente) da cui poter scaricare giornali o contenuti coperti dal diritto d’autore. Per non parlare di tutti i deliri no-vax che, ai tempi della pandemia, contenevano minacce e intimidazioni (con tanto di diffusione di dati personali sensibili) alle istituzioni e ai politici italiani.
Ma davvero tutto questo è possibile perché ci si può avvalere di una crittografia end-to-end? In realtà, questo sistema è applicato anche da WhatsApp e da Signal, eppure queste app di messaggistica istantanea non sono così utilizzate per la trasmissione di contenuti sensibili, se non di veri e propri strumenti di reato. Ora, al netto del fatto che nessun sistema di crittografia può contare effettivamente sulla sicurezza dei messaggi trasmessi (i provider del servizio hanno sempre un accesso a questi contenuti e sta soltanto alle loro policy determinare il livello di riservatezza sui contenuti stessi), è evidente che Telegram sia maggiormente utilizzato proprio perché Pavel Durov ha sempre sollevato il vaso di Pandora da questo punto di vista: anche in situazioni particolarmente spinose ha sempre negato, semplicemente, alle autorità dei vari Paesi di avere accesso allo “spioncino” che l’app di messaggistica da lui gestita ha a disposizione per poter risalire all’identità di chi condivide materiale improprio. Non è un caso, ad esempio, che le principali operazioni di polizia che si sono occupate di chat Telegram sono state effettuate attraverso vere e proprie operazioni di infiltrati sotto copertura e con la totale assenza di collaborazione da parte del provider.
Dunque, ecco svelato il motivo per cui su Telegram girasse molto più materiale proibito: gli utenti, vista la policy aziendale di Durov, si sentivano protetti dal fatto che i dati sensibili non fossero condivisi con le autorità. Anche se è vero, come abbiamo avuto modo di spiegare, che ci sono state molte testimonianze, dagli scenari di guerra ucraini, di famiglie di oppositori rintracciate dall’esercito russo proprio sulla base della loro attività su Telegram. Ma – si sa – la Russia non è l’occidente e alcune “regole” possono essere facilmente aggirate. Anche a discapito delle politiche aziendali di Durov.
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