Chi segue il mio blog ricorderà che ci furono annate in cui la mia era nient’altro che una voce clamans in deserto per mettere in guardia sulle aperture di credito al genio politico e al ruolo costituente dei Padri Fondatori pentastellati. Per cui mi ostinavo a definire Beppe Grillo un solenne cacciaballe; illusorie le mitomanie internettiane del geometra Casaleggio. Tanto da ricevere sistematicamente vere e proprie bordate di insulti da fan feriti nelle loro certezze indubitabili. D’altro canto – per quanto riguardava il front-man del duo – le mie considerazioni nascevano dalla comune appartenenza genovese, con relative informazioni biografiche di prima mano sul suddetto; riguardo al suo socio, mi aveva mitridizzato dalle suggestioni della consulenza mendace un dieci di anni vissuti nella Milano in berlusconizzazione.
La fortuna del celebre duo di destrorsi sotto mentite spoglie nasceva dall’aver intuito con anticipo di quattro anni (Bologna 2007 vs. Madrid e New York 2011) l’insorgenza anti-establishment esplosa dopo il crollo finanziario di Wall Street. Un fenomeno mondiale che produsse nuove forme-partito (Podemos spagnolo e Syriza greca) che mai riconobbero in Cinquestelle una qualche affinità: quando una sua delegazione con Grillo in testa si recò ad Atene, il leader “altropolitico” Tsipras neppure volle incontrare quel guru che in Unione europea si alleava con il nuclearista Nigel Farage. Nel frattempo il Movimento vinceva le elezioni e incombevano problemi troppo complicati per l’emerito pasticcione Beppe; sicché si rese necessario un minimo di riorganizzazione e comparve all’orizzonte l’avvocato Conte. Che una volta appreso il mestiere, nel governo giallo-rosa 5S-Pd diede ottima prova di sé.
E da quel momento cominciò la guerra di logoramento da parte del nume di Sant’Ilario a cui avevano sottratto il giocattolo; mentre il nuovo leader (che potremmo definire un moroteo di sinistra) si arrabattava per dare un qualche senso compiuto a un Movimento cresciuto sotto l’influsso di pericolose fanfaluche. Mentre il contesto competitivo cambiava profondamente (e la furbata “né destra né sinistra” non funzionava più). Con costanti ritorni in campo di Grillo autonominatosi l’Elevato, impegnato nell’accreditamento di svarioni politici anti successore. A partire dal varo del governo Draghi con la sua benedizione ammazza-5S. Ora stiamo assistendo a quanto può risultare il regolamento di conti definitivo, a fronte dell’appuntamento rifondativo settembrino del Movimento.
Per cui “l’Elevato a 300mila euro annui di fee” ha predisposto tre trappole per boicottare l’operazione; una ipocrita e due risibili. Arroccarsi sul limite dei due mandati significa sacralizzare la norma escogitata dai fondatori per tenere sotto controllo gli eletti, ridotti a loro ascari (che agli albori venivano espulsi se osavano affacciarsi in qualche talk). Definire irrinunciabili il nome (più adatto a una balera romagnola) e il simbolo (bruttarello) intende impedire il necessario segnale della discontinuità per un Movimento in mutazione. E la mutazione disturbante è la linea Conte, del rigoroso posizionamento in una “sinistra dei valori” che impiccia le operazioni in corso. Ossia l’allargamento a Renzi e Forza Italia del fantomatico “campo largo”, per un’ipotetica aggregazione camaleontica che qualcuno ritiene necessaria. Ma che il buon senso minimo prevede suicida. Come il barcamenarsi di Elly Schlein tra quei cacicchi contro cui prometteva di rivolgere la sua azione riformatrice; e che Conte continua a ritenere condizione irrinunciabile per una più stretta collaborazione.
Come interpretare il ritorno di Grillo sulla scena nel ruolo di ammazza-erede? C’è in atto, da parte dei soliti manovratori, occulti ma non troppo (storiche testate in debito di lettori, potentati economici che raschiano il barile del denaro pubblico, simil-Gelli in deficit di credibilità e altro vario sottobosco), una manovra per scalzare il governo Meloni che non si rivela sufficientemente ossequioso (tensioni con Mediaset, scontri con Stellantis, ecc.). E che c’entra Conte? Il suo presidio di uno spazio di altra-politica intransigente impiccia la nascita di un’ammucchiata politicamente informe. Per cui l’eurodeputato Pd Matteo Ricci sproloquia che “Renzi serve per vincere”. E poi delira: “serve un soggetto moderato e liberale”. Non un’alternativa di buongoverno. Per questo torna in campo Grillo, a disturbare e magari promuovere secessioni. Sempre con il riflesso condizionato del parvenu affascinato dai ricchi e potenti: da Draghi a Briatore, nel cui resort keniota trascorrere vacanze. Magari oggi Elkann e Caltagirone.
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