La domanda che in molti si sono fatti – e che anche Giornalettismo ha ripreso in un altro articolo del monografico di oggi – è se Pavel Durov abbia in qualche modo “orientato” il suo arresto, sbarcando volontariamente e per ragioni di calcolo in Francia. Questa domanda sottintende una spiegazione molto dettagliata sui rapporti che Pavel Durov, da qualche tempo a questa parte, ha avuto (e continua ad avere) con il Cremlino. Rampante imprenditore del digitale, infatti, il fondatore di Telegram era stato – in realtà – l’artefice di un’altra realtà social importante, molto usata in Russia. Circa 17 anni fa, infatti, aveva creato VKontakte, la risposta russa a Facebook, un tentativo di realizzare un social network che potesse essere molto più rispondente ai gusti e alle esigenze dei suoi connazionali che, altrimenti, sarebbero stati eccessivamente dipendenti dai modelli occidentali proposti da Mark Zuckerberg su Facebook. La sua parabola a VKontakte durò per circa 7 anni. Poi, com’era inevitabile, si mise in mezzo la politica.
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Nel 2014, infatti, Pavel Durov fu – di fatto – “costretto” a cedere VKontakte e a smettere di occuparsene direttamente. All’origine di questa forzatura, c’erano stati due episodi nella fattispecie: la scelta di non bloccare la pagina di Aleksej Navalny su VKontakte (da qui, il principale oppositore di Putin – morto il 16 febbraio 2024 – lanciava i suoi principali messaggi di propaganda politica, invisa al Cremlino) e quella di non indicare i nominativi di utenti di VKontakte che potevano considerarsi degli oppositori delle operazioni militari che, già nel 2014, Putin stava conducendo in Crimea. Di fatto, VKontakte fu tolto dalle mani di Durov perché l’imprenditore digitale faceva esattamente quello che – fino a qualche giorno fa – faceva con Telegram: rifiutarsi categoricamente di condividere informazioni degli utenti delle sue piattaforme con le autorità.
A questo punto, nell’imperscrutabile cortina di riservatezza che ha da sempre caratterizzato gli affari russi, emerge una posizione delicata per Durov (che ha stabilito, forse non a caso, la sua residenza a Dubai): era passato da figura scomoda – per le sue resistenze – a figura non più problematica, visto che aveva accettato di passare la mano sulla titolarità di VKontakte. Tuttavia, Durov aveva un altro asso nella manica: il servizio di messaggistica istantanea criptata Telegram.
Nonostante la sempre dichiarata indipendenza di Telegram dalla Russia e nonostante non ci sia alcuna prova che metta in collegamento diretto Putin con Durov, diverse fonti di giornalismo investigativo hanno individuato dei touch point tra Mosca e il servizio di messaggistica (compresa la sede di alcune risorse che lavorano per Telegram). Inoltre, alcuni reportage di guerra – dopo l’invasione russa dell’Ucraina del febbraio 2022 – hanno raccolto testimonianze di come dissidenti politici siano stati rintracciati dall’esercito russo e da altre autorità locali a partire dall’analisi delle loro chat Telegram. Insomma, ci sono seri dubbi che – per Mosca – l’impenetrabile crittografia di Telegram potesse rappresentare un vero ostacolo. E questo lascia immaginare che un qualche accordo tra Durov e il Cremlino possa esserci stato. Del resto, l’esercito russo continua a utilizzare Telegram per le sue comunicazioni, per il coordinamento delle operazione e anche per l’archiviazione di alcuni file molto pesanti. E questo nonostante un tentativo passato, nel 2018, di bloccare Telegram da parte dell’FSB russa.
Il Cremlino, a quell’altezza cronologica, voleva ottenere da Durov esattamente quello che le autorità francesi hanno richiesto (e, vista l’opposizione di Durov, il motivo per il quale hanno spiccato un mandato d’arresto): l’accesso alle informazioni di cui Telegram era in possesso. Cos’è cambiato, poi, dal 2018 a oggi, quando Telegram è diventato – di fatto – una sorta di strumento al servizio di diversi livelli istituzionali in Russia? Possibile che tra Putin e Durov ci fosse un accordo? Ed è possibile che Durov avesse cercato di parlare con Putin proprio in Azerbaijan, Paese dal quale è decollato il suo jet privato prima dell’arrivo in Francia?
La storia di Durov in Russia e dei suoi precedenti indica senz’altro che sia una figura con molto da dire. Ed è possibile che la Russia, nonostante le deteriorate relazioni internazionali, possa chiedere a Parigi di far tornare l’imprenditore in patria.
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