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Tutti gli esseri umani appartengono ad un’unica specie, Homo sapiens sapiens, e sono interfecondi: qualunque coppia può (almeno in teoria e in assenza di malattie genetiche) generare figli fertili. Se ogni uomo avesse uguale probabilità di accoppiarsi con ogni donna si assisterebbe ad un continuo riassortimento di varianti geniche e la popolazione mondiale sarebbe identica nelle sue frequenze geniche in qualsiasi parte del mondo: non esisterebbero gradienti di frequenze geniche, gruppi, etnie, sub-popolazioni, etc.
Ovviamente questa situazione non si verifica: la probabilità che due individui si incontrino e si innamorino è tanto maggiore quanto più questi vivono vicini, parlano la stessa lingua e condividono la stessa cultura. A causa della non casualità degli accoppiamenti, tendono a formarsi gruppi endogamici che per varie ragioni possono presentare frequenze geniche diverse. Ma quali sono queste ragioni? In questo post cercherò di fare una analisi generale dei meccanismi attraverso i quali si originano le differenze geniche.
Il più ovvio meccanismo attraverso il quale ha origine la variabilità genetica è la mutazione del Dna. Una mutazione è un errore casuale nel processo di replicazione, che genera una sequenza nucleotidica diversa da quella originale. Spesso la mutazione è dannosa e in questo caso il suo portatore può risultare affetto da una malattia genetica; in rari casi però è neutrale o utile.
Un altro meccanismo, che può ma non deve necessariamente associarsi al precedente è la selezione naturale: una certa caratteristica genetica può risultare vantaggiosa in un certo ambiente e chi la possiede può avere una vita più lunga, più sana, e più prolifica; nello spazio di alcune generazioni produce più discendenti e aumenta quindi la frequenza dei suoi geni (o meglio dei suoi alleli) a spese di quelli meno vantaggiosi.
Poiché una certa variante genica può risultare più vantaggiosa in un certo ambiente e meno in un altro, la separazione geografica concorre a determinare la differenza genetica tra popolazioni diverse. Una variante genica potrebbe affermarsi sulle altre anche per sole ragioni statistiche, pur non conferendo vantaggi selettivi: questo processo si chiama deriva genetica ed è molto importante nei gruppi piccoli.
Ancora, un piccolo gruppo, che proprio per la sua scarsa numerosità possiede una composizione genetica diversa da quella della popolazione di origine, potrebbe separarsi e fondare una colonia che non ha scambi genetici con la popolazione di origine (questo meccanismo, che si chiama “effetto del fondatore” è stato osservato in particolare nella colonizzazione delle isole da parte dei popoli navigatori).
La variabilità genetica è però in parte compensata dalle migrazioni, che tendono a rimescolare le frequenze geniche tra la popolazione migrante e quella residente. Non è necessario esplorare ulteriori ragioni della possibile origine delle differenze nelle frequenze genetiche delle popolazioni umane: quello che conta è che in assenza di un rimescolamento genico casuale, che su scala di continenti o del pianeta è impossibile, la formazione di popolazioni con frequenze geniche diverse è inevitabile.
Si noti però che a meno di popolazioni o gruppi alquanto piccoli, tutte le popolazioni maggiori possiedono tutte le varianti genetiche più comuni o quasi e differiscono per le loro frequenze, come abbiamo visto nei post precedenti: non esiste un gene “dei neri” o “degli ebrei” o di qualunque altro gruppo.
Incontriamo qui un altro errore delle teorie razziali dell’Ottocento, che immaginavano le razze come “originarie” e la specie umana come polifiletica, cioè originata dalla fusione di gruppi inizialmente distinti; di qui l’orrore per il meticciato e la “degenerazione razziale”. Questa ipotesi è biologicamente impossibile: la specie umana ha una origine comune, da preominidi africani e si è differenziata in seguito a causa di migrazioni e formazione di colonie endogamiche, ciascuna delle quali ha subito i suoi processi di differenziamento genico.
Potrebbe essere una sorpresa per il Gen. Vannacci e i suoi ingenui estimatori, che tutte le popolazioni del mondo, inclusa quella italiana, si sono evolute da antenati africani comuni, di pelle scura: Paola Egonu è una rappresentante moderna dei nostri antenati ed è venuta in Italia come ci erano venuti loro; ha soltanto trascorso meno generazioni nel nostro clima.
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