Il cosiddetto Occidente, ossia tutta quella parte – minoritaria – del pianeta che si riconosce nei valori e nella leadership statunitense, si fonda sull’inesorabile destino democratico dei popoli. Della democrazia fa il proprio vessillo, da contrapporre all’autoritarismo o a vere e proprie dittature che caratterizzano, nel bene e nel male, gran parte della comunità umana. La retorica democratica spesso non viene approfondita nei suoi reali legami con “l’ideale” democratico, ossia con quel “potere violento del popolo” che si ritrova nell’etimologia del termine ellenico. Così, per democrazia si può intendere tutto.
E’ democrazia quella per antonomasia, la statunitense, per la quale è normale che le campagne elettorali si facciano col denaro (a proposito: la Harris ha raggranellato mezzo miliardo di dollari, strillano contenti gli ex figli del proletariato nostrano che fanno il tifo per i democratici d’oltreoceano), è democrazia quella dei vertici europei, indiretta sì, legata a dinamiche oligarchiche, a figure di politici non eletti, ma posti a capo del governo dell’unione di 27 nazioni. La democrazia è una specie di Proteo che può assumere mille volti, ma in molti casi in essa la gestione del “popolo” è analoga a quella che vige negli Stati autoritari: un mero riferimento formale o ideale. Così, si può anche essere i più fieri detrattori dell’attuale governo italiano, tuttavia in una democrazia ne si dovrebbe contrastare l’azione attraverso i mezzi parlamentari. E invece no.
In Italia, ad aprire un qualsiasi giornale, a leggere le news online o a udire i dibattiti televisivi, sembra che il governo possa crollare da un momento all’altro. Che anzi debba crollare, sotto il peso ora della bolla “fascismo”, ora della bolla “cerchio magico”, ora della bolla “ius scholae”. Bolle, mediatiche, ideologiche, bolle di rancore, di mal digerita opposizione, di disabitudine alle prassi della democrazia, alle proposte politiche, alla costruzione di un bene comune che vada al di là delle factiones e sia in grado di riconnettere la societas. Ognuno lavora per il proprio interesse si dirà, ma non è del tutto vero. Gli interessi, nelle democrazie formali, sono altrove, non risiedono in parlamento. E se i governi cercano di districarsi fra queste potenze esterne, cercano di mantenersi stabili nonostante gli interessi extraparlamentari che incalzano, allora la bolla deve gonfiarsi a dismisura, inglobare il governo, e scoppiare assieme ad esso.
Lo ha compreso Travaglio, la cui lucidità di analisi sulle questioni geopolitiche è per chi scrive incontestabile. Lo comprendono i semplici cittadini. Strano che non lo comprendano coloro che, pur facendo parte dell’attuale governo, decidono di attardarsi a fine agosto su questioni come quella dello ius scholae. Per carità, argomenti di interessante discussione, ma sono urgenze della maggioranza degli italiani, non dico della maggioranza degli elettori dell’attuale governo? Sì, sarebbe bellissimo riproporre oggi la Constitutio antoniniana con la quale Caracalla estese a tutti i cittadini dell’impero la cittadinanza romana. Pure ciò non fece di Caracalla un grande eroe del mondo antico, e nonostante il suo buon governo, lo si ricordò al massimo per le terme e per la violenza del suo carattere, oltre che per l’opportunismo di una misura che non era affatto intesa ad affratellare i popoli sudditi dell’impero, ma a spremerli fiscalmente.
In questo caso è fin troppo evidente che le priorità degli italiani sono altre: il precariato, i costi delle case, la scarsa possibilità per le giovani coppie di avere redditi stabili e posti di lavoro stabili, il dissesto idrogeologico, la pianificazione energetica (possibilmente senza distese di pale eoliche e pannelli fotovoltaici), i disequilibri economici regionali, le carenze del sistema sanitario, il grande dramma educativo che va al di là degli sforzi della scuola (fin troppo burocratizzata) ed è reale emergenza civica per le nuove generazioni. Per uscire dalle bolle occorre farle scoppiare prima che siano troppo grandi. Occorre ritornare al reale, alle proposte concrete, alle spese oculate, a grandi iniziative solidali di un popolo irretito dalle bolle, ma fin troppo consapevole del peso della realtà quotidiana.
Occorre esplorare quella realtà, riportare su di essa, sulle sue storture, sui suoi limiti, lo sguardo collettivo, uscire dall’eterno dibattito che lascia spazio ai poteri estranei alla politica. Non accodarsi a questo o quel grande protettore dell’Impero – nella lega Delio-Attica del V secolo a.C., alla fine, contava solo Atene -, perché qualunque sforzo di obbedienza all’Impero si compia, non basterà mai. Le opportunità politiche sono come il fiume di Eraclito, che non risale mai la corrente. E spesso, come la vita, vanno afferrate al volo e vissute fino in fondo perché capitano una volta sola. Viverle democraticamente vuol dire ritornare al demos, e ridargli la percezione di essere la reale priorità della politica, al di là delle divisioni, delle ideologie e delle bolle che poteri capricciosi continuano a gonfiare per le proprie cause antidemocratiche.
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