Stop ai souvenir legati a boss e cosche che veicolano messaggi fuorvianti e ledono l’immagine della Sicilia e umiliano un Paese intero. Anzi di più: «Tolleranza zero» per chi, vendendo gadget a base di coppole e lupare, continua a restituire della popolazione siciliana un’immagine mortificante, contribuendo ad alimentare stereotipi e un ritratto macchiettistico che oltraggia il tributo di dolore e sangue di chi ha pagato con la vita l’impegno profuso nella lotta alla mafia.
Oltre ad annientare tutto il lavoro e delegittimare i risultati conseguiti sul fronte dell’affermazione della cultura della legalità. Dunque, sulla strada dei un percorso cominciato da tempo, si innesta oggi la delibera annunciata dal sindaco di Agrigento, Franco Miccichè, che si dice “sorpreso” dall’eco mediatica suscitata dalla sua ordinanza che vieta la vendita, da parte di coloro che commerciano souvenir turistici, di oggetti che rievocano la mafia.
Un provvedimento «scontato e necessario» dopo la segnalazione da parte di un concittadino della presenza, nelle vetrine dei negozi della centralissima Via Atenea, di magneti che raffigurano “u mafiusu” o “a mafiusa”, con tanto di coppola e lupara, in alcuni casi a bordo di un’auto con i colori della bandiera italiana. «Per me è stato naturale agire immediatamente – dice il primo cittadino all’Adnkronos –. Trovo mortificante essere etichettati come “mafiosi”». E del resto, da tempo l’Amministrazione comunale, che si prepara al 2025, anno in cui Agrigento sarà Capitale della cultura, lavora all’affermazione della cultura della legalità. «Lo facciamo nelle scuole e con eventi a 360 gradi. Non è tollerabile, allora, che in città si veicoli questo tipo di promozione della Sicilia e del Paese intero».
Allora: «Ritenuto che la vendita di tali prodotti nel territorio di Agrigento mortifica la comunità agrigentina, da anni impegnata nella diffusione della cultura della legalità, si ordina il divieto di vendita di qualsiasi tipo di oggetto che inneggi, o richiami in qualunque modo e forme, alla mafia e alla criminalità organizzata», si legge nell’ordinanza. E i commercianti pare si siano subito adeguati. «I gadget sono spariti», assicura il primo cittadino. I controlli, affidati soprattutto alla Polizia municipale, proseguiranno nei prossimi giorni per garantire il rispetto dell’ordinanza e per i trasgressori scatteranno le multe.
«Un turista “ignorante” potrebbe essere attratto da questi souvenir, che veicolano un messaggio fuorviante. È necessario allora educare sia i commercianti sia i turisti all’acquisto di gadget che rappresentino davvero una città, una Regione e uno Stato, che ha pagato un tributo altissimo nella lotta alla mafia».
E sulla scia dell’ordinanza – e del significato che sottende l’iniziativa – arriva a stretto giro il plauso di Confcommercio Sicilia, che sostiene la decisione del primo cittadino. «Anzi – sottolinea sempre all’Adnkronos il presidente regionale Confcommercio Sicilia, Gianluca Manenti – diciamo di più. Auspichiamo che anche altri sindaci della nostra Isola possano seguire lo stesso esempio».
«Il nome della nostra Isola deve essere associato a immagini positive e non certo alla mafia – dice ancora Manenti –. Che questo segnale arrivi da Agrigento che il prossimo anno sarà Capitale italiana della Cultura è significativo». Un passo, quello del sindaco agrigentino, assicura il numero uno di Confcommercio Sicilia che «stiamo apprezzando moltissimo» e che «speriamo possa essere il primo di una lunga serie». Anche se, sottolinea, “stare a confrontarsi su queste argomentazioni ancora nel 2024 è davvero imbarazzante. Ma tant’è».
E sull’ipotesi apre anche il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla. «L’iniziativa agrigentina potrebbe essere replicata anche qui, dove è sempre più necessario liberarsi di vecchi e superati stereotipi», sottolinea il primo cittadino, che nei prossimi giorni si confronterà con l’assessore comunale Giuliano Forzinetti e con la commissione consiliare alle Attività produttive per individuare «il percorso più idoneo». Perché se è vero che «Palermo, grazie soprattutto ai risultati ottenuti da magistrati e forze dell’ordine, ha fatto grandi passi in avanti per liberarsi dell’immagine di una città di mafia». È altrettanto vero che «la battaglia per affermare una compiuta legalità è ancora in corso e impone l’assoluto impegno di tutti».
Del resto, come anticipato poco sopra, l’ordinanza del sindaco agrigentino arriva a innestarsi su un percorso intrapreso da tempo. Già lo scorso anno, per esempio, gadget e souvenir “ispirati” a Cosa nostra erano stati messi al bando sui traghetti che collegano la Sicilia alla Calabria grazie a un intervento dell’assessore alle Infrastrutture della Regione siciliana, Alessandrò Aricò. Che oggi, dopo l’invito rivolto agli armatori un anno fa perché fossero rimossi i gadget e i souvenir a tema mafioso dagli spazi commerciali dei traghetti e delle navi che curano i collegamenti con le isole siciliane, torna sul tema.
Questa volta l’appello è rivolto ai vertici delle società di gestione degli scali di Palermo (Gesap), Catania e Comiso (Sac), Trapani (Airgest), Lampedusa (Ast) e Pantelleria (Enac). In una lettera l’esponente della Giunta Schifani chiede lo stop alla vendita di oggettistica a tema mafia negli shop e spazi commerciali degli aeroporti siciliani. «Mantenere un’immagine dignitosa e scevra dai soliti stereotipi negativi – scrive Aricò – è senza dubbio una linea ferma da tenere nei luoghi di primo approdo di turisti e visitatori che raggiungono la Sicilia, come appunto gli aeroporti dell’Isola».
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