Con l’assegnazione ieri per la prima volta dell’ultimo posto disponibile – il 50esimo – a un nuovo paziente, si è saldato idealmente e completamente uno degli anelli storicamente deboli dell’assistenza sanitaria, quella zona d’ansia che per anni ha ammantato le dimissioni di anziani pluripatologici: non più acuti, ma non sufficientemente in forze per tornare al domicilio o, semplicemente, senza nessuno ad accudirli di fronte a mansioni divenute improvvisamente proibitive. Entra così a pieno regime l’ospedale di comunità del Sant’Antonio, finanziato con il Pnrr per 650 mila euro, di cui 400 mila per l’ultima tranche.
L’ospedale di comunità è organizzato su due piani, l’ottavo – dove prima c’era la Geriatria, trasferita al quinto – con 22 posti e il nono, con 28 letti al posto della Lungodegenza, dove trovano posto i casi più complessi. Gli ospedali di comunità erano saliti alla ribalta prepotentemente durante il Covid come luogo di ricovero per contagiati non più in condizioni gravi ma che faticavano a guarire o, semplicemente, a negativizzarsi.
Il servizio è organizzato in stanze da due letti ciascuna, sufficientemente spaziose da consentire l’ingresso e la movimentazione di sedie a rotelle adeguate alle singole necessità e alla presenza di parenti, con televisione e bagno in camera; al piano, anche una stanza in cui intrattenersi con i propri cari e dove i medici incontrano le famiglie. Prevista anche qualche stanza singola per pazienti che necessitano di isolamento, ad esempio in presenza di germi multiresistenti.
«Questo ospedale di comunità ha una caratteristica importante che consiste nel fatto di essere inserito a sua volta in un ospedale come il Sant’Antonio» spiega il direttore generale dell’Azienda Ospedale Università Giuseppe Dal Ben. «Siamo così arrivati a completare la nostra offerta con cure intermedie, ovvero che stanno in mezzo tra le cure ospedaliere e quelle domiciliari o residenziali».
Il «ponte tra ospedale e territorio» è definito come una struttura che facilita il ritorno a casa dei pazienti usciti dalla fase acuta, entrando in una condizione intermedia per poter poi tornare al domicilio. Nel 2023, l’ospedale di comunità ha dimesso 223 pazienti, saliti a 237 nei primi 8 mesi di agosto con l’apertura del secondo piano dedicato. Il “congedo” avviene nel 20% dei casi per decesso, per il 50% per trasferimento in struttura residenziale e per un altro 25% con il rientro a domicilio.
Il costo a carico della Regione è 145 euro al giorno e i primi 30 giorni – periodo di degenza media – sono a carico del sistema. Successivamente si richiede una compartecipazione che parte da 25 euro al giorno fino a 45. Gli infermieri quotidianamente presenti sono otto, con dieci operatori sociosanitari, due case manager e un coordinatore, mentre il personale medico che garantisce l’assistenza è quello della Geriatria.
