TRIESTE Solo un anno fa il Festival del Film di Fantascienza di Trieste (ora Science+Fiction) festeggiava i 60 anni dalla nascita, quasi archiviando la storia della sua prima fase ventennale. Invece quella gloriosa rassegna continua a viaggiare nel tempo, e in questi giorni si ritrova ancora attuale, sorprendente ispiratrice, con le sue scoperte poi diventate classici, del miglior cinema contemporaneo d’autore.
Accade infatti che due film vincitori del Fantafestival di San Giusto, ovvero il francese “La jetée” di Chris Marker per la prima edizione del 1963, e il polacco “La clessidra” di Wojciech Has, Asteroide d’oro proprio 50 anni fa nel 1974, siano oggetto di due remake in programma entrambi al Lido alla Mostra di Venezia che inizia mercoledì 28 agosto.
Il primo remake è il film fuori concorso “2073” del regista britannico premio Oscar Asif Kapadia, docufiction con una cornice da fantascienza distopica che prende dichiaratamente spunto da “La jetée”. Il secondo, nelle Giornate degli Autori, è “Sanatorium Under the Sign of the Hourglass” (“Sanatorio sotto il segno della clessidra”), diretto dai gemelli statunitensi Stephen e Timothy Quay, noti come Quay Brothers, anch’esso tratto (come “La clessidra” di Has) da un racconto di Bruno Schulz, autore polacco di origine ebraica ucciso nel 1942 da un ufficiale nazista.
Per quanto riguarda “La jetée” di Chris Marker, mediometraggio a immagini fisse col narratore fuori campo che nel 1963 affascinò la giuria triestina con un giovane Umberto Eco, è un capolavoro da sempre considerato uno dei migliori 100 film della storia del cinema. Lo struggente viaggio a ritroso nel tempo del suo protagonista ha già ispirato “cult” come “Terminator” (1984) di James Cameron e soprattutto “L’esercito delle 12 scimmie” (1995) di Terry Gilliam. Ora Asif Kapadia (premio Oscar per il documentario ”Amy” su Amy Winehouse), rifacendosi esplicitamente a “La jetée”, nel suo “2073” si fa una domanda: come sarà il mondo fra 50 anni, provando a immaginarlo da ciò che siamo oggi?
In “2073” finzione e realtà, cinema di genere e cinema-verità si mescolano in una sorta di anomalo thriller-reportage: la cornice da film di fantascienza distopica inquadra un montaggio di immagini autentiche che mostrano come il mondo stia precipitando in un vortice di violenza, autoritarismo e catastrofe climatica.
Da parte sua “La clessidra” del maestro polacco Wojciech Has - premiato con l’Asteroide d’oro a Trieste nel 1974 da una giuria guidata da Alessandro Blasetti e che includeva il grande scrittore sci-fi Brian W. Aldiss - è un intenso viaggio nella memoria di grande fascino visivo. Il protagonista arriva in un ospedale diroccato che funziona da macchina del tempo, dove incontra il padre ricoverato, e in una situazione di barocca sovrapposizione di piani spazio-temporali rivive in un contesto onirico (con echi felliniani) episodi della sua vita passata. E scopre che il villaggio intorno, una comunità ebraica del Sud della Polonia, è stato distrutto e ormai quella popolazione non esiste più.
Ora i Quay Brothers, maestri del cinema in stop-motion ammirati da Christopher Nolan e Terry Gilliam, si sono basati per il loro “Sanatorium” sul medesimo racconto di Bruno Schulz portato sullo schermo da Has. Hanno iniziato a realizzare il loro progetto 19 anni fa, sviluppandolo un po’ alla volta mentre cercavano i finanziamenti. Girato con pupazzi e oggetti con le loro luci e ombre, “Sanatorium” è realizzato per tre quarti in animazione e per un quarto in live-action. La storia è quella di Jozef, che viaggia in treno su una linea abbandonata per raggiungere il padre morente in un sanatorio galiziano. Ma nel fatiscente edificio il tempo è indefinito: il padre potrebbe essere già morto, oppure non ancora, e Jozef resta intrappolato in una rete di ricordi, fantasie e visioni.
E per chiudere il cerchio di questo cineviaggio nel tempo, ricordiamo che i Quay Brothers hanno partecipato anche al Trieste Science+Fiction, nel 2005, con il pluripremiato “The Piano Tuner of the Earthquakes”.