VILLA SANTINA. Non c’è da meravigliarsi che i ragazzini di Villa Santina e Invillino, tra gli anni Ottanta e Novanta, si sentissero un po’ Indiana Jones nell’attraversare il bosco fitto e ombroso in località Viertide di Invillino, e l’ambito ingresso, mimetizzato dalla vegetazione, per addentrarsi in misteriose gallerie, lunghe in tutto oltre un chilometro.
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Una “città” sotterranea che si addentra fino a 30 metri di profondità. L’opera 3, in gergo militare, che prese il posto di una cava di tufo, ha più entrate e uscite e la luce tagliente entra da feritoie: serviva per controllare il fondovalle dopo la confluenza tra il fiume Tagliamento e il torrente Degano e la rotabile per Verzegnis Arzino. Il divieto categorico di accedere a quel sito militare anche molto dopo la seconda guerra mondiale otteneva l’effetto opposto in bambini e ragazzi.
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La generazione dei loro nonni, quei tunnel li avevano costruiti tra il 1940 e il 1942 sulla riva destra del Tagliamento (come parte integrante degli sbarramenti della linea difensiva del Vallo alpino del Littorio voluta da Benito Mussolini), loro ci giocavano, attratti da quel fortino così ben camuffato e simile a un sommergibile col suo osservatorio sul mondo esterno.
Quelle gallerie militari furono considerate segretissime (per via della Guerra Fredda che dal 1950 in parte reimpiegò simili manufatti) fino al 1993.
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Due su cinque di queste opere-bunker dello sbarramento Invillino Ovest del Vallo Alpino sono visitabili: sono la 2 e la 3 (le prime del Vallo Littorio in Carnia a essere musealizzate, grazie a una mediazione operata assieme dall’associazione “X Regio italica” e dal Comune di Villa Santina che le ha ottenute a inizio anni Duemila gratis dal Demanio militare e recuperate). Sono accessibili dal 2014 solo con visite guidate (con l’associazione “Friuli Storia e territorio”).
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All’opera 3 arrivi dalla strada che da Invillino conduce a Verzegnis. Dopo un tornante, una traccia di sentiero s’inoltra nel bosco, intravedi appena uno degli ingressi, tradito da forme più rette. Le nostre storiche guide – il sindaco Domenico Giatti e Matteo Chiaruttini di “Friuli Storia e territorio”, che è pure coautore del volume “La fortezza degli alpini. Gli sbarramenti della fortificazione permanente 1950-1992” con contenuti inediti da documenti finora riservati – aprono il cancello, come tante migliaia di altre volte per visitatori anche esteri. Le scale a chiocciola in un attimo ti catapultano in profondità, la frescura ti avvolge (d’inverno la colonnina di mercurio non scende mai sotto i 10 gradi), le pareti sono spessissime, lunghi corridoi si alternano, di diverse larghezze, a seconda di cosa doveva passarci (cannoni, mitragliatrici o persone).
Questi bunker erano studiati per essere utilizzati solo in emergenza. L’opera 3, predisposta per 90 militari, per 10 giorni di viveri e 8 giorni di munizioni, ha 8 postazioni per mitragliatori, 2 per i cannoni, un osservatorio e vari servizi, anche per garantire la sicurezza in caso di attacchi cimici. Stagna come un sommergibile, il capillare sistema di areazione doveva evitare l’asfissia, c’erano pure maschere con un tubo per l’aria fresca filtrata.
Le scanalature sulle pareti occorrono, seguendole con le mani, a procedere pure al buio, ci sono nicchie per lampade a petrolio, tutte le predisposizioni di impianti anche elettrici e per le comunicazioni via radio e vari locali per logistica, cucina, infermeria, i ganci per 90 letti (a castello in 30 file), barbiere e sala giochi. Per far sentire i militari a casa.
Eppure questi manufatti bellici non fecero mai la guerra. Furono abitati solo il tempo di costruirli, vigilarli e controllarne l’efficienza bellica. Anche per questo sono benvisti dalla comunità.