ZAGABRIA. Nervi a fior di pelle, accuse e controaccuse, rapporti sempre più deteriorati. È lo stato, pessimo, delle relazioni tra due Paesi -chiave nei Balcani e nell’Europa centro-orientale, Ungheria (sostenuta dalla Slovacchia) e Croazia, ai ferri corti a causa di una delle tante “mini-crisi” indirettamente provocate dalla guerra in Ucraina.
Crisi deflagrata dopo lo stop a una parte delle forniture di petrolio dall’Ucraina via gasdotto Druzhba, che portava in Ungheria, ma anche in Slovacchia, greggio del colosso russo Lukoil, anche se altri fornitori distribuiscono petrolio regolarmente ai due Paesi Ue. È stato proprio il recente stop al greggio Lukoil, denunciato dall’Ungheria, la miccia della nuova crisi, con Budapest e Bratislava che hanno annunciato nelle scorse settimane «consultazioni con l’Ue contro l’Ucraina», parlando di mossa inaccettabile e «incomprensibile» da parte di Kiev, che metterebbe a rischio la sicurezza energetica di Ungheria e Slovacchia.
L’Ue ha minimizzato, rispondendo che «al momento non vi è alcun impatto immediato sulla sicurezza dell’approvvigionamento petrolifero dell’Ue». E ha consigliato a Budapest – dipendente al 40% dal greggio di Lukoil – e a Bratislava vie alternative per sopperire alla mancata fornitura del petrolio russo. «Lo Janaf ha sufficienti capacità» per far affluire in Ungheria e Slovacchia petrolio comprato» in luoghi alternativi alla Russia, ha suggerito Bruxelles. Janaf, ricordiamo, che è il cosiddetto “Oleodotto adriatico”, che dal terminal marittimo di Omisalj, in Croazia, trasporta nafta verso la Serbia, ma un secondo braccio svolta verso nord e conduce proprio in Ungheria.
La soluzione alternativa proposta dall’Unione europea ha tuttavia solo inasprito la controversia. Il vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis «ci ha inviato» una lettera «oltraggiosa» in cui «assicura che l’Ucraina non sta mettendo a rischio le forniture a Ungheria e Slovacchia», ha lanciato il sasso il ministro degli Esteri ungherese, Peter Szijjarto. E in quella missiva Bruxelles è andata oltre, ricordando «che c’è un altro oleodotto che attraversa la Croazia e che possiamo usare». Ma «la Croazia non è un Paese di transito affidabile», lo j’accuse di Budapest.
Questo perché Zagabria, secondo l’Ungheria, avrebbe aumentato di «cinque volte le tariffe rispetto alla media del mercato dall’inizio del conflitto in Ucraina, ha spiegato l’agenzia di stampa magiara Mti. E ciò avrebbe «reso impossibile alla Mol», il colosso ungherese dell’energia, «di contrattare forniture nel lungo periodo». E, in ogni caso, sempre secondo Szijjarto, lo Janaf non avrebbe adeguatamente «incrementato le capacità» dell’oleodotto. In pratica, lo stop dell’Ucraina avrebbe lasciato Ungheria e Slovacchia «nelle mani di un Paese di transito inaffidabile». La Croazia? Forse è una soluzione, ma «a quale prezzo?», si è chiesto anche il ministro degli Esteri slovacco, Juraj Blanar.
Parole pesanti, in particolare quelle di Szijjarto, che non sono passate inosservate a Zagabria. Che ha reagito con sdegno. Si tratta di dichiarazioni «profondamente offensive» verso la Croazia e di un «gesto non amichevole» verso un Paese vicino, ha contrattaccato il ministro degli Esteri croato, Gordan Grlic Radman. «Siamo spiacevolmente sorpresi dalle dichiarazioni» di Budapest, ha aggiunto.
Ma a replicare è stato anche il management dello Janaf, che ha smentito di aver rialzato le tariffe. Assicurando di investire in maniera costante nel potenziamento delle capacità di un oleodotto sempre più vitale per la sicurezza energetica dell’Europa centro-orientale