Il giorno dopo le polemiche non si sono placate, anzi. Il caso Carini-Khelif ha avuto una cassa di risonanza ancor più ampia scatenando polemiche e reazioni. La stessa azzurra ha annunciato l’intenzione di appendere i guantoni al chiodo, sugli strascichi di un combattimento farsa.
A intervenire sull’argomento è stato anche il presidente del Coni Giovanni Malagò: “Ovviamente provo un po’ di imbarazzo istituzionale. La posizione del Coni è a tutela e difesa di Angela. Ci ho parlato settimane fa e da giorni, dopo il sorteggio, ci siamo confrontati sull’incontro contro questa pugile chiacchierata. Io, prima verbalmente poi in modo lieve ma formale e infine con una protesta ufficiale, ho scritto una lettera a tutela dell’atleta Angela Carini chiedendo dei rumors e di quale fosse la situazione. Ha un passaporto, che non devo giudicare io, che dichiara che è donna. Poi è giusto che ognuno faccia le sue considerazioni, però quello che dico è di non sostituirci al mestiere degli altri”.
E come a dar manforte a Malagò è intervenuta la Federboxe ungherese dicendo no alla presenza di Imane Khelif nel tabellone olimpico della categoria 66 kg – la pugile algerina sarà infatti la prossima rivale della magiara Anna Luca Hamori – visto che è stata “esclusa dai Mondiali nel 2023 dopo non aver superato un test biologico”.
“Il nostro comitato olimpico ha a cuore gli interessi dell’atleta ungherese, per questo motivo sta approfondendo quali mezzi può utilizzare per tutelare il diritto di Anna Luca Hamori a una competizione leale sulla base delle norme attuali”.
Il Cio però resta fermo sulla propria posizione, specificando che la squalifica in occasione dei Mondiali di marzo 2023 decisa dall’Iba (l’ente mondiale che ha ritenuto non idonea a gareggiare tra le “femmine” la pugile algerina) “è stata basata su una decisione arbitraria. Non sappiamo quali siano stati i test effettuati, se fossero accurati, se abbiano rispettato il protocollo, ma per noi è importante sapere che questa donna pugile ha gareggiato per diversi anni con diversi opponenti e negli ultimi anni ha lottato anche contro tre pugili italiane”, ha ricordato maliziosamente Mark Adams, portavoce del Comitato Olimpico Internazionale. “Se ci basiamo sui sospetti allora torniamo ai test di genere, se dovessimo seguire tutte le accuse ci ritroveremmo in una caccia alle streghe inutile”. Per ora, ufficialmente, l’ungherese, prossima avversaria della Khelif, è pronta ad affrontare l’algerina ai quarti di finale e a non rinunciare: la volontà è giocarsela alla pari, magari pensando soltanto al combattimento.
Anche perché, un eventuale forfait prima del match potrebbe costare caro all’atleta e alla federazione d’appartenenza. Un esempio? Alle Olimpiadi di Tokio 2020 (disputate nel luglio 2021) la Federazione internazionale di Judo ha disposto una sospensione di dieci anni nei confronti del judoka algerino Fethi Nourine e del suo allenatore, Amar Benikhlef dopo che avevano deciso di ritirarsi dalla competizione olimpica di Tokyo, lo scorso 23 luglio. La motivazione? Non erano disposti ad affrontare l’avversario di turno, il judoka israeliano Tohar Butbul. In quel caso per motivi politici. Una sanzione comminata perché andava contro i principi della Carta olimpica e del codice etico della federazione internazionale d’appartenenza. Quello che, c’è da giurarci, sarebbe accaduto alla poliziotta campana Carini e al suo allenatore Emanuele Renzini.
L'articolo Carini lascia la boxe e anche l’Ungheria protesta. Costrette a salire sul ring contro l’algerina: chi rifiuta rischia una squalifica sembra essere il primo su Secolo d'Italia.