Le principali differenze tra marijuana e cannabis legale consistono, a livello organico, nelle caratteristiche delle piante e nei principi attivi presenti nelle diverse varietà di canapa da cui avviene l’estrazione.
Giusto per essere concisi, la cannabis illegale che in Italia è demonizzata da sempre e quella chiamata Indica. Presenta infatti un’alta concentrazione di THC che, in definitiva, è il principio attivo che produce effetti psicotropi che potrebbero incidere, ad esempio, al volante di un’auto. È severamente vietata la cessione in Italia, anche se in sempre più paesi del mondo consumo e vendita sono stati legalizzati.
La filiera produttiva che si è sviluppata in Italia di vendita di prodotti derivati dalla canapa (sino ad oggi normata da leggi specifiche) utilizza prevalentemente la Canapa Sativa per la bassa o bassissima concentrazione di THC. In ogni caso, per legge, non si possono mettere in vendita prodotti la cui concentrazione supera una determinata soglia. Questo tipo di pianta produce infatti un livello di tetraidrocannabinolo al di sotto di un parametro (0,5) considerata, a torto o a ragione, la soglia drogante sopra la quale si versa nella illegalità. La Sativa ha, al contrario, una buona concentrazione di CBD (cannabidiolo) che rispetto all’altro principio attivo non ha alcun effetto psicoattivo e una possibilità di applicazione in molti campi e, ad oggi, non sono conosciute controindicazioni nocive nel suo utilizzo (ad esclusione, nel caso si fumi, dei danni derivanti da questa modalità di assunzione alla par del tabacco).
Se le cose stanno così, e stanno così perché la scienza è un poco più esatta della politica, è chiaro che la normativa passata nella commissione notturna che equipara principi e sostanze diverse come fossero un unicum appare tra le più insensate che questo disgraziato paese, campione di insensataggini normative, poteva partorire. Per essere più chiari, è come se equiparassero la birra analcolica a quella alcolica. Non ci si deve neppure più stupire della stupidità di una politica che, accecata dalla ideologia, decide di distruggere un settore produttivo che comunque ha una sua nicchia di mercato e ha dato lavoro a svariate migliaia di persone.
È anche vero che probabilmente vi saranno profili costituzionali che andranno approfonditi e che quindi tutta la questione non si chiuderà sicuramente con questa boutade estiva. Più in generale, questo tema ci interroga sullo stato di salute di una classe dirigente che ancora una volta si occupa di facezie e non di cose serie. Che rinnova una politica del gambero che invece di avanzare arretra. Lo si diceva in apertura di questa piccolo scritto: i paesi che, per diverse ragioni, hanno gettato la spugna verso normative di divieto di consumo e vendita di marijuana aumentano anno dopo anno. Per lo più per ragioni di cassa (tasse che vengono pagate) ma, in linea di principio, anche per questioni legate ad una diffusione talmente normalizzata e diffusa da rendere socialmente ed economicamente controproducente un approccio repressivo.
Ma siamo in Italia. Un paese che vede politici caricaturali a fronte di una massa di persone la cui massima espressione di ribellione è quella di non andare a votare. Un paese ormai disperatamente individualista su cui qualsiasi legge manifesto, anche la più iniqua, viene approvata nella certezza che nella peggiore delle ipotesi nessuno se ne lamenterà.
Forse si ritornerà a modeste piantagioni casalinghe o, più probabilmente, ad acquisti nel dark Web. Di sicuro, nell’eventualità che questa normativa non trovi alcuna resistenza e si proceda alla soppressione dell’intera filiera produttiva e di vendita, saranno i soliti noti a beneficiarne. Quelle organizzazioni criminali esentasse che, a parole, tutti combattono. Da loro un sentito grazie.
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