“Tutti gli omicidi extragiudiziali che Israele ha condotto negli ultimi decenni non hanno dissolto Hamas. L’organizzazione ha una struttura interna non verticistica, ma basata su rappresentanti eletti dai vari membri. Hamas non è un serpente che si può decapitare uccidendo un leader”.
Paola Caridi, giornalista ed esperta di Medio oriente, che alla storia di Hamas ha dedicato un saggio da poco tornato in libreria (Hamas: dalla resistenza al regime, Feltrinelli) non dubita che ci sia Israele dietro l’omicidio di Ismail Haniyeh, mercoledì, in un raid a Teheran, ed è altrettanto certa che l’effetto concreto dell’operazione sarà di destabilizzare la regione, senza aver realmente indebolito Hamas.
Cosa rappresentava Haniyeh per Hamas e per la resistenza palestinese?
La sua storia politica è estremamente importante per gli equilibri interni all’organizzazione. Haniyeh è di Gaza, come Yaya Sinwar suo coetaneo, e ha cominciato a militare molto giovane, da universitario. Già nel 2003 è scampato a un omicidio mirato. È stato assistente di uno dei fondatori di Hamas, Ahmed Yassin, finché quest’ultimo non è stato ucciso nel 2004. Come Yassin, è stato un leader non solo politico ma anche religioso, un predicatore. Haniyeh ha cominciato ad assumere un ruolo sempre più politico a partire dal 2005, quando la struttura del movimento ha deciso di partecipare alle elezioni e nel 2006 ha vinto le parlamentari. Haniyeh era capolista e per questo ha guidato il governo dell’Anp (senza Fatah) fino al 2007, l’anno del golpe a Gaza. Da 7 anni viveva in Qatar perché era stato eletto nell’ufficio politico di Hamas, e come tutti i leader politici dell’organizzazione si è trasferito all’estero per poter intrattenere relazioni con partner internazionali senza dover chiedere a Israele il permesso di uscire dal Paese.
La sua morte apre una lotta di potere dentro Hamas?
Assolutamente no. Hamas da oltre 40 anni funziona con una struttura decisionale basata su quattro circoscrizioni (estero, Gaza, Cisgiordania, prigioni) e votazioni a maggioranza. La sostituzione di Hanyeh, come la sua elezione a capo del politburo, avverrà con lo stesso processo decisionale interno, nel segno della continuità. I candidati a prendere il suo posto penso siano essenzialmente due. Khalil al-Hayya, che è cresciuto con Haniyeh e Sinwar a Gaza e che era anche lui a Teheran martedì, ricevuto da Khamenei insieme ad Haniyeh. È stato al-Hayya a fare la dichiarazione a favore della soluzione a due Stati, settimane fa. L’altro potenziale successore è Musa Abu Marzuq, ex leader del comitato politico, più anziano, oggi eterno numero due dopo essere stato incarcerato negli Stati Uniti. Entrambi sono già implicati nel negoziato con Israele per il cessate il fuoco a Gaza. In ogni caso sarebbero figure di transizione fino alle elezioni interne previste nel 2025.
I negoziati per il cessate il fuoco a Gaza sono definitivamente sepolti dopo l’omicidio di Haniyeh?
Il primo a dirlo è stato il Qatar: come si può negoziare se uccidi un negoziatore? Israele non rivendicherà mai l’attacco, ma la modalità è tipica ed è utilizzata da decenni dai servizi di Tel Aviv. Proprio in virtù della struttura decisionale di Hamas, la morte di Haniyeh non ferma di per sé i negoziati. È stato lui stesso a dirlo, ad aprile, quando Israele ha ucciso tre dei suoi figli e 4 nipoti in un raid: ‘Non è colpendo me che si colpisce il negoziato’, dichiarò allora. Io credo però Benjamin Netanyahu, come dicono sempre più analisti militari, non abbia mai avuto intenzione di portare a termine i negoziati e che voglia proseguire la guerra, anche quando il suo stato maggiore militare gli chiede di finire le operazioni e di evitare un allargamento del conflitto. Non credo che le classi dirigenti di Europa e Stati Uniti si rendano davvero conto di quanto sia diventata pericolosa la situazione. La miccia è già stata accesa.
Per lei un’escalation del conflitto è probabile, quindi?
L’Iran non può non rispondere. Hanno colpito un ospite in casa loro, sotto gli occhi delle guardie rivoluzionarie. Il problema è che Teheran ha già risposto con un lancio di droni e missili dopo il raid israeliano contro l’ambasciata iraniana di Damasco. Ora cosa farà?. Il vero problema dell’omicidio di Haniyeh è proprio questo: che è avvenuto in territorio iraniano. Questo mette in gioco tutta la regione, e mette in gioco anche la Cisgiordania. Abu Mazen ha dichiarato un giorno di lutto, non era successo con gli omicidi precedenti. È chiaro che un conflitto allargato all’Iran non avrebbe più le caratteristiche di una guerra regionale.
A cosa puntava esattamente Israele, allora, secondo lei?
Il tentativo è allargare la guerra e di portare dentro l’Iran, coinvolgendo anche gli Stati Uniti. Evidentemente Netanyahu ritiene di potersi approfittare dell’indebolimento della leadership di Washington, con Joe Biden che ha ritirato la sua candidatura per un secondo mandato, una vicepresidente che è anche candidata e, soprattutto, l’altro candidato, Donald Trump, pronto a dare carta bianca a Netanyahu. L’attacco però va visto anche come un attentato al dialogo inter-palestinese, che era stato rilanciato dal di Pechino tra i rappresentanti delle 14 fazioni della Palestina: Haniyeh era in prima fila in questo processo.
L’omicidio mette in discussione il rapporto di Hamas con l’Iran?
Non direi, ma sarà molto importante capire la dinamica del raid, perché capendo esattamente da dove è partito il missile e in che modalità riusciremo a capire qualcosa di più anche della rete di sostegno su cui Israele ha potuto contare per colpire Teheran.
L'articolo “La morte di Haniyeh non decapita Hamas”. L’esperta Caridi: “L’obiettivo di Netanyahu è provocare l’escalation con l’Iran” proviene da Il Fatto Quotidiano.