A cinquecento anni dalla nascita, il Circolo culturale “Erasmo di Valvason”, col contributo della Regione Friuli Venezia Giulia, ha a pubblicato in copia anastatica il poema La Caccia, opera del suo più illustre concittadino, nell’ambito di studi che intendono valorizzare un nuovo profilo dell’autore, figura di spicco del tardo Rinascimento italiano e non solo friulano.
La stampa anastatica, come ha precisato nell’introduzione la presidente del Circolo Anna Maria Bellot, si riferisce all’edizione del 1808 della Società tipografica de’ Classici di Milano, riveduta, corretta e maggiormente comprensibile rispetto alle edizioni precedenti, con l’intento di facilitarne la divulgazione.
Il testo del poema è introdotto dal noto studioso Alberto Pavan, che espone inizialmente la biografia di Erasmo di Valvasone, sottolineando i suoi studi, il matrimonio con la patrizia veneziana Marietta Trevisan, le sue attività di amministratore di feudi sia in territorio veneto che imperiale, le ampie relazioni col mondo letterario del Rinascimento e la fama che si guadagnò su più generi letterari, da traduzioni di classici a epistole, da trattati a raccolte poetiche in latino e italiano.
Analizzando il contenuto de La Caccia, Pavan la fa rientrare nel genere, di ascendenza classica, del poema didascalico, che ha il compito di trattare una materia tecnico-scientifica attraverso la forma poetica, con il fine di giovare da un punto di vista morale, ma anche di dilettare.
Il poeta-maestro si rivolge a una figura di discepolo, in cui può riconoscersi lo stesso lettore. Sempre secondo Pavan, Erasmo di Valvasone conosce a fondo il tema venatorio e lo rielabora alla luce della propria esperienza personale, realizzando un’opera di grande dottrina, che può considerarsi il primo poema didascalico moderno sul tema.
La caccia è presentata come attività pertinente alla dimensione dell’ozio, non per questo priva di un valore morale, richiedendo al cacciatore resistenza alla fatica, al sonno, alle intemperie, temperanza e moderazione; lo prepara all’attività bellica, che l’autore in quel periodo configura in guerre di religione. Il poema conta cinque canti di ottave di endecasillabi di varia lunghezza.
Nel primo canto, dopo il proemio e l’invocazione al cardinale Francesco Sforza, uomo d’arme e poi prelato, Erasmo trova il modo di tessere le lodi del Friuli, paesaggio ideale per le cacce. Nel secondo si sofferma sulle razze canine ed equine, fra cui i famosi cavalli lipizzani che fa risalire all’antichità. Nel terzo la trattazione si sposta sulle caratteristiche del buon cacciatore, sempre con riferimenti alla classicità. Nel quarto divaga dall’astuzia degli animali ad antiche leggende sognando di riconquistare il Santo Sepolcro e nell’ultimo si sofferma sull’uccellagione, terminando con un’apostrofe al discepolo.