Una giornata assolutamente sulle montagne russe per l’Italia. Tanti, troppi soprusi difficili da digerire, l’amarezza per occasioni sfumate e la sensazione di impotenza dinanzi a dinamiche che esulano dal mondo dello sport.
Ci siamo sentiti perseguitati, inutile negarlo. Odette Giuffrida sconfitta nel judo sia in semifinale sia nella finalina per il bronzo a causa di tre shido discutibili; Arianna Errigo eliminata all’ultima stoccata dei quarti di finale del fioretto femminile a causa, parole sue, di “un errore arbitrale“. Da rimarcare che entrambe le azzurre hanno accettato il verdetto con grande signorilità, senza instaurare polemiche.
Va detto che, quando una contesa si decide sul filo di lana e a decidere l’esito è un giudizio umano, 9 volte su 10 a perire è l’Italia. Per quale motivo? Analizzando le sconfitte di Giuffrida, il presidente del Coni, Giovanni Malagò, ha spiegato che “l’arbitraggio fa riflettere“. Siamo d’accordo, ma forse occorrerebbe anche trovare delle risposte sul reale peso politico sportivo dell’Italia, decisamente indebolito prima dalla brutta figura del ritiro della candidatura olimpica di Roma 2024, poi a causa dei tanti problemi di gestione che sta incontrando la l’edizione invernale di Milano-Cortina 2026, con ritardi e intrighi burocratici che hanno recitato la parte del leone per anni. Insomma, la sensazione è che l’Italia non reciti un ruolo di primo piano nelle alte sfere e ciò sfoci poi in situazioni poco gradevoli in sede di assegnazione delle medaglie: nel dubbio, chi ci rimette sono sempre i nostri.
Ad ogni modo, se le decisioni nei confronti di Giuffrida ed Errigo, per quanto discutibili, in qualche modo sono giustificabili come meri errori umani (facciamo finta di crederci…), quanto accaduto invece ad Aziz Abbes Mouhiidine non ha giustificazioni. Dell’argomento abbiamo già discusso a lungo e, francamente, siamo stufi di ripetere sempre i medesimi concetti relativamente ad uno sport, la boxe, che ogni volta non finisce di stupire per quanto irrefrenabile sia la sua caduta verso l’abisso in termini di credibilità.
L’Italia ha incassato dei colpi difficili da metabolizzare. In pochi minuti ha perso due nitide e conclamate carte da medaglia d’oro: fioretto femminile e, appunto, Mouhiidine. In attesa, si spera, di essere smentiti in vista della prova a squadre, ci chiediamo però se abbia ancora senso parlare di Dream Team per la Nazionale italiana di fioretto femminile: in fondo gli ultimi ori olimpici risalgono ormai a Londra 2012. Questo appellativo era poi stato affibbiato ad una compagine in cui militavano fuoriclasse del calibro di Valentina Vezzali, Giovanna Trillini, Elisa Di Francisca. Le azzurre di oggi sono certamente delle campionesse, lo hanno a più riprese dimostrato nelle loro carriere. Ma il paragone con le illustri connazionali del passato appare azzardato.
Ad ogni modo, dopo il doppio podio del mattino nel tiro a segno con Federico Nilo Maldini e Paolo Monna, si avvertiva come il pane l’esigenza di una medaglia d’oro. Perché puoi anche collezionare tanti podi, ma quando vedi che in tanti iniziano a superarti nel medagliere, ecco che un pizzico d’ansia inizia a serpeggiare all’interno di Casa Italia. Come spesso accade, nel momento di estrema difficoltà è arrivato il colpo di coda con l’uomo meno atteso. Certo, Nicolò Martinenghi era un papabile per un bronzo nei 100 rana; ma battere Peaty e Qin…Eppure il lombardo ci è riuscito, timbrando l’impresa più bella di una carriera ormai leggendaria e aprendo il vaso di Pandora dell’entusiasmo che può diventare contagioso e mutare il corso dell’Olimpiade azzurra.