Ivrea
«Finalmente giustizia è stata fatta, ma nessuno mi restituirà quello che queste vicende giudiziarie mi hanno tolto». Così commenta Graziano Cimadom, fondatore della Manital, che venerdì mattina è stato assolto dal tribunale di Ivrea dalle accuse di aver usufruito illegittimamente di un regime fiscale agevolato (bonus Renzi) per quasi tre milioni e mezzo di euro. Assoluzione piena per quattro dei sei capi di accusa: uno perché il fatto non sussiste e gli altri tre perché il fatto non costituisce reato.
La pubblica accusa, rappresentata dal pm Alessandro Gallo della procura di Ivrea, aveva sostenuto la sua colpevolezza ipotizzando come Cimadom avesse fatto ricorso a sgravi fiscali iscrivendo la somma di tre milioni e 400mila euro al Fisco nel regime agevolato per investimenti di natura di ricerca e sviluppo. Progetti che riguardavano la Manital stessa, come la ricerca di un sistema in grado di far dialogare tutti gli applicativi e i sistemi aziendali in automatico, una sorta di intelligenza artificiale ante litteram. Uno dei progetti, invece, riguardava il castello di Parella che avrebbe dovuto essere un laboratorio di soluzioni tecniche ed ingegneristiche per dimostrare allo Stato come il recupero di beni storici e architettonici, anche se ridotti a rudere, era sostenibile e generava utili.
Secondo le accuse quei benefici fiscali erano inesistenti e, quindi, non dovuti. Per questo il pm Gallo aveva chiesto al termine della sua requisitoria la condanna dell’imprenditore a un anno e cinque mesi. «Al mio assistito è stato contestato – ha dichiarato l’avvocato Vittorio Maria Rossini del foro di Torino – di aver intascato il bonus spettante ai dipendenti per un importo di 669mila euro, quando come concorda anche l’accusa, l’azienda e Cimadom hanno dimostrato non solo di non aver preso nulla, ma anche di vantare un credito di imposta pari a 229mila euro nei confronti dello Stato».
Il giudice monocratico Andrea Cavoti sembra aver sposato la tesi della difesa assolvendo l’imputato e disponendo il dissequestro di tutti i beni che erano stati sequestrati per il processo. Le motivazioni saranno rese note solo tra novanta giorni.
Per Cimadom è una vittoria dal sapore amaro. «Tutto è cominciato con la sanzione dell’Antitrust di 33 milioni – commenta al termine dell’udienza –. Quello è stato un fulmine a ciel sereno che ha indotto le commesse pubbliche a ritirarsi. Siamo passati da un’azienda con utile di 200 milioni annui ad essere azzerati, con tutti i conti bloccati, impossibilitati a pagare persino gli stipendi a seimila dipendenti in tutta Italia».
Per Cimadom non è neppure la prima delle vicende giudiziarie che lo hanno coinvolto e dalla quale esce a testa alta; un calvario che lo ha messo a dura prova. «Dispiace anche per il castello di Parella – conclude l’imprenditore eporediese – Era stato il nostro sogno, con soluzioni ecologiche e green innovative e all’avanguardia. Oggi è tutto finito all’asta senza un futuro».