TARVISIO. Ricordare la figura di uomo e alpinista di Vladimiro Dougan sulle nostre montagne ha un senso di giustizia resa a un gigante dimenticato, l'alfiere di Julius Kugy o per meglio dire il suo “principe ereditario”, come il patriarca dei pionieri delle Giulie annotò di proprio pugno. La Sezione “Monte Lussari” di Tarvisio del Club alpino italiano scoprirà una targa domenica alle 12.30 nei pressi del Rifugio Pellarini, sotto le pareti dello Jȏf Fuart, che compie cent'anni. In precedenza, sabato alle 20.30 alla Fattoria didattica di Valbruna, è in programma l’incontro con l'alpinista e scrittore Flavio Ghio e proiezione del docufilm “Domandando di Dougan” di Giorgio Gregorio. Parteciperanno, fra gli altri, i vertici dei Comuni di Trieste, Tarvisio e Malborghetto-Valbruna.
Sono molteplici le ragioni della rimozione storica che inseguì Dougan fin dalla sua morte, avvenuta nel 1955 all'età di 64 anni. Una scomparsa che non suscitò alcun clamore, nemmeno una riga di commiato sulla stampa dell'epoca.
Innanzitutto Dougan apparteneva a quella nazionalità slovena che abita a Trieste da diversi secoli ma che con l'avvento dell'Italia venne duramente osteggiata. Nativo di Roiano, affollato rione popolare allora come ora, fu sempre trattato come “altro” da loro, dove “loro” erano gli irredenti soci dell'allora Società alpina delle Giulie. Non soltanto era triestino sloveno, ma alla chiamata alle armi – in ogni caso dopo aver tentato di schivarla come simulatore di varie malattie, compresa l'epilessia – dovette indossare l'uniforme della vecchia Austria, consegnandosi a un destino da “austriacante”.
L'Alpina in questi anni lo ha giustamente riabilitato e omaggiato con tanto di prestigiosa monografia curata da Flavio Ghio sulla pubblicazione sezionale Alpi Giulie. E ha partecipato convintamente all'asta indetta dalla Casa Bolaffio per conseguire i suoi diari, riemersi misteriosamente dall'oblìo in riva al lago di Garda, ad Arco, dove andò a sparire sua moglie Lea Kulot dopo aver lasciato per sempre Trieste.
Ma allora no: all'Alpina Miro Dougan, formidabile accademico del Club alpino italiano, fu rispettato per la sua grandezza alpinistica, certo, tuttavia mai venne considerato un pari. Forse anche per tali circostanze trascorse gli ultimi anni ritirato in un'aura di misticismo, che dovette confortarlo con le sensazioni ultime donate dalle amate montagne e dal suo appartato eremo notturno fra le falesie carsiche della costiera triestina a picco sulla stesa del mare.
Dougan fu al fianco di Kugy in Val Canale per gran parte della Prima guerra mondiale e fu fra i soli cinque militari a trascorrere l'intero inverno fra il 1916 e il '17 in cima allo Jȏf Fuart, a presidio della celebre Scottihütte. Questo da militare che – al pari di Kugy – aveva in avversione la guerra.
Come alpinista Dougan setacciò le pareti delle Giulie da cima a fondo, dal Fuart al Montasio compreso quel Buinz che gli fu tanto caro bivacco di quota. Per non parlare del Cimone, suo autentico amore profondo, che cinse d'assedio come un folle innamorato e dove tracciò numerosi itinerari arditi, alcuni mai ripetuti come al Ciuc di Vallisetta. E che dire della Cengia degli Dei, intuita da Kugy studiando le vie dei camosci e percorsa in prima assoluta da Dougan con Osvaldo Pesamosca fino alla Gola Nordest nel luglio del 1914?
Il Cai tarvisiano ha pensato a una targa che ricordi Miro Dougan al Rifugio Pellarini perché fu lui a battersi, per svariati anni, con l'Alpina delle Giulie affinché nel meraviglioso anfiteatro della Carnizza di Camporosso, sotto le immani pareti delle Madri dei Camosci e del Fuart, sorgesse un ricovero per gli alpinisti.
Siamo nel 1923, ad ottobre. La montagna ancora rimbomba dei colpi di cannone della prima linea. Ovunque resti di reticolati, munizioni, baraccamenti. Dougan convince l'allora presidente dell'Alpina, Carlo Chersi, a salire con lui dalla Saisera e fare un accurato sopralluogo. Chersi e gli altri non credono che l'ipotesi del rifugio sia percorribile, poiché manca l'acqua.
Ma Dougan insiste: arriva alla Carnizza, afferra la piccozza e comincia a scavare un canalino trasversale in una zona ben precisa a monte dell'attuale rifugio. Scrive Chersi: “A un tratto vedemmo compiersi il miracolo. Miro Dougan gridò Ecco l'acqua! Un istante appresso una forte vena d'acqua irrorava i detriti. Scavata più profondamente una fossa, l'acqua sgorgò abbondante, si aperse un valico tra i sassi e scese rapidamente a valle. E quello è stato il battesimo del nuovo rifugio. Miro Dougan, pieno di gioia, continuava a rimuovere detriti risalendo il pendio per trovare il maggior volume d'acqua. E l'acqua scendeva, col caratteristico lieve rumore delle polle d'acqua in montagna, bagnava la superficie intorbidandosi. In pochi minuti aveva raggiunto il limitare delle rocce e cominciò a cadere da una paretina, con ben intelligente fragore. Poi l'acqua si fece limpidissima. La assaggiammo. Era gelida”.
Il primo rifugio sarà inaugurato nell'ottobre del 1924 nel punto scelto da Dougan, che procurerà il legname e provvederà al tetto con le lamiere delle baracche di guerra. Alla cerimonia nessuno spenderà una sola parola per ringraziarlo.
Ora una targa rende il giusto merito a colui che intuì il “Pellarini” e la sua sorgente, istruito da Kugy a “leggere” le montagne con gli occhi amorevoli di chi ne cerchi l'anima.