Il pubblico ministero aveva chiesto 12 anni di galera. Il giudice ne ha inflitti 10 a Elia Fiorindi, il 19enne trevigiano che accoltellò a morte Aymen Adda Benameur, 17 anni, un ragazzo di origine algerina che l'11 maggio dell'anno scorso fu ucciso in un campo vicino alla chiesa di Varago.
Quel giorno, Fiorindi avrebbe dovuto cedere ad Aymen un pezzetto di hashish del peso di 50 grammi in cambio di 250 euro. S'erano accordati di farlo nei pressi del tendone della sagra del paese, lontano da occhi indiscreti e dai rispettivi amici che li avevano accompagnati per lo scambio.
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Ma mentre stavano trattando, Aymen prese per il bavero Fiorindi e per 22 secondi si sviluppò un corpo a corpo con il 19enne di Treviso che tentava di allentare la presa del minorenne, finché all'improvviso il pusher estrasse un coltello e vibrò quattro fendenti. Aymen riuscì a percorrere una trentina di metri prima di stramazzare a terra, mentre Fiorindi scappò dalla parte opposta. Fu preso un’ora più tardi, all’esterno di un ristorante vicino alla chiesa.
Per il pubblico ministero Davide Romanelli, quella di Fiorindi non fu legittima difesa né eccesso colposo di legittima difesa. Seppur sottolineando che fu la vittima ad aggredire Fiorindi e che quella che Aymen aveva in mano difficilmente era una sigaretta elettronica, ha sostenuto in requisitoria che quello di Varago si trattò di omicidio per dolo eventuale in quanto vibrò quattro coltellate non tanto per proteggere sè stesso da un pericolo imminente ma per salvaguardare il proprio “bene-patrimonio” ossia la droga che temeva Aymen volesse sottrargliela senza pagarla.
Il pm è arrivato a chiedere 12 anni di galera per Fiorindi, partendo da una pena base di 30 anni e riducendola attraverso il riconoscimento delle attenuanti generiche, il rito premiale dell’abbreviato e per aver collaborato nelle indagini confessando il delitto con l’aggravante però della minore età della vittima.
La parte civile, con gli avvocati Luciano Meneghetti e Fabio Capraro, ha contestato l’attendibilità tecnico scientifica dell’ingrandimento del video di una casa privata che mostra la fase dell’aggressione vicino al tendone sostenendo che quella nella mano destra di Aymen non era un coltello (mancano i bagliori del sole quando la muoveva, ndr) ma una sigaretta elettronica trovata sporca di sangue nella tasca del giubbotto della vittima.
In tasca inoltre aveva i 250 euro della droga e per questo non aveva motivo per temere di subire una rapina della droga visto che aveva incassato i soldi. Inoltre ha fortemente contestato l’attendibilità di Fiorindi. Nella costituzione di parte civile ha chiesto un risarcimento da oltre un milione di euro per genitori e tre fratelli di Aymen.
La verità è tutta nel video che una telecamera posta all’esterno di una casa di Varago immortalò i fatti. È questa, secondo l’avvocato Fabio Crea che difende Fiorindi con il collega Luigi Torrisi, la dimostrazione che Fiorindi colpì Aymen per difendersi.
«Le immagini parlano da sole», ha detto il legale. «In mano Aymen aveva un coltello, lo dicono gli stessi carabinieri oltre che le immagini oggettive del video. L’imputato fin da subito s’è dimostrato collaborativo raccontando i fatti così come sono avvenuti e consegnando il coltello. Lui non voleva uccidere ed era convinto di averlo solo ferito. Non a caso scappa in direzione opposta di Aymen e si nasconde».
All’esterno dell’aula c’era anche la madre di Fiorindi: «Sono sempre sua mamma, non posso abbandonarlo», ha detto in lacrime. «Penso a mio figlio e anche al loro che non lo riavranno mai più».