TRIESTE I giuristi lo chiamano reato di «rivelazione di segreti scientifici o commerciali». In altri termini: spionaggio industriale. Esiste, eccome, e non solo nei film. La vittima, una vittima d’eccellenza, sebbene fin qui solo presunta, è la Wärtsilä: le informazioni sui progetti di alcuni importanti componenti di un motore per navi sarebbero finite nelle mani di un’altra società. Queste componenti sono poi state realizzate e immesse sul mercato. La società è la So.co.mar. srl di Trieste, con sede in zona industriale, a San Dorligo: l’amministratore, l’ingegner Massimo Teodori, è imputato ed è quindi sotto processo.
Se l’accusa sarà dimostrata, andrà anche accertato come quei progetti – si parla di decine di file con disegni tecnici, procedure – siano potuti uscire dallo stabilimento di Bagnoli. Al momento è un mistero. Si sospetta che di mezzo ci sia, o che ci sia stata, una talpa interna. Una spia, insomma. Al momento è un’ipotesi.
I fatti, su cui hanno indagato la Guardia di finanza e la Polizia diretti dal pm Matteo Tripani, sono riferiti al 2020.
I processi attualmente sono due: uno penale, in corso di dibattimento al Tribunale di Trieste (giudice Cristina Arban), in cui sono stati sentiti i testi dell’accusa, e l’altro civile a Venezia per il risarcimento danni. Qui sono state presentate due consulenze tecniche.
L’utilizzo delle informazioni industriali riservate non era relativo a un motore navale intero, ma ad alcuni componenti: la testata e altre parti di ricambio di questo motore, nello specifico il “W46”.
Ignoti avrebbero rivelato dati e informazioni segreti: caratteristiche tecniche, procedure di lavorazione, qualità dei materiali di costruzione, tecnologie impiegate e, in definitiva, il know how di Wärtsilä a riguardo.
I progetti della società non sono rimasti sulla carta, ma sono stati riprodotti. Dunque quelle parti del motore – secondo l’inchiesta – sono state costruite e, in un momento successivo, commercializzate. Stando a quanto si apprende, durante la fase di indagine la Guardia di finanza avrebbe trovato progetti e i documenti riconducibili alle informazioni riservate di Wärtsilä, che ha sporto querela.
Il reato contestato dalla Procura di Trieste è regolamentato dall’articolo 623 del codice penale che punisce – come si legge nella norma – «chiunque, venuto a cognizione per ragione del suo stato o ufficio, o della sua professione o arte, di segreti commerciali o di notizie destinate a rimanere segrete, sopra scoperte o invenzioni scientifiche, li rivela o li impiega a proprio o altrui profitto».
La questione è proprio la fuga di notizie sui documenti. Il processo è ora chiamato a dimostrare se si trattava di file coperti da segreto industriale o se, in qualche modo, erano già accessibili a società esterne a Wärtsilä attraverso gli intermediari della filiera produttiva. E quindi non così “riservati”.
Il danno per la Wärtsilä, se confermato a processo, è innanzitutto di tipo commerciale: l’introduzione sul mercato, da parte di un’altra impresa in questo caso concorrente, di alcune componenti del motore “W46”. A ciò si aggiunge il danno di immagine. Proprio come avviene con il plagio dei capi di abbigliamento o delle borsette, ad esempio.
Nelle scorse udienze del processo penale è già stato sentito l’ex presidente di Wärtsilä Italia Andrea Bochicchio e un’agente della Polizia di Stato, oltre a un consulente tecnico comparso anche nel processo civile. La società, contattata, non commenta.
L’amministratore della So.co.mar. srl, Massimo Teodori, è difeso dagli avvocati Nicola Caruso e Carlo Serbelloni del Foro di Udine. «Riteniamo che non ci sia stata alcuna rivelazione del segreto commerciale – afferma l’avvocato Caruso – sono informazioni comunemente note agli operatori di quel settore specifico». —
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