di Francesco Montorio*
Con le sentenze 128 e 129 del 2024, la Corte Costituzionale torna a “colpire” il Jobs Act.
Il Comunicato del relativo Ufficio Comunicazione e stampa così recita: “La tutela reintegratoria attenuata si applica anche al licenziamento per giustificato motivo oggettivo in caso di insussistenza del fatto materiale ed al licenziamento disciplinare intimato per un fatto punito dalla contrattazione collettiva solo con una sanzione conservativa”.
È fondamentale osservare come nella prima sentenza si interviene sulla disparità di trattamento tra la fattispecie di licenziamento oggettivo (economico) e quello soggettivo (giusta causa/giustificato motivo) come si riscontra all’art. 3 del d.lgs. n. 23 del 2015, comma 1 e 2. Infatti il Jobs Act non consentiva di reintegrare il lavoratore anche se fosse emersa l’insussistenza del motivo oggettivo-economico allegato dal datore di lavoro, come previsto, invece, per i licenziamenti soggettivi. Ora i due casi sono stati equiparati.
Del resto anche il buon senso fa comprendere la grande ed evidente iniquità della norma, che addirittura consentiva di licenziare pur adducendo motivazioni oggettive insussistenti. Il datore di lavoro poteva così comunque contare, anche in caso di soccombenza, solo sulla sanzione indennitaria.
In attesa di maggiori approfondimenti sulle due sentenze, sorgono delle riflessioni a caldo.
Dopo l’attacco all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, iniziato col suo svilimento (sostanziale e procedurale) dalla riforma Monti-Fornero nel 2012 e completato col Jobs Act nel 2015, si sono certo compiuti dei passi per la “scalata della dignità delle persone” che, dopo l’entrata in vigore della Costituzione e le diverse conquiste compiute sulle tutele dei lavoratori, aveva avuto il suo apice proprio con l’approvazione dello Statuto dei Lavoratori e la tutela cosiddetta reale (o reintegratoria) prevista dall’articolo 18.
Passi però realizzati sempre grazie alle sentenze dei giudici costituzionali (come nel 2018 e nel 2021), non ai legislatori “rappresentanti del Popolo sovrano…” (il “decreto Dignità” non ha ripristinato l’art. 18, come pure promesso in campagna elettorale).
Sentenze che comunque evidenziano delle violazioni della Costituzione all’interno di leggi che invece dovrebbero attuarla su un diritto fondamentale come quello del lavoro. Sentenze, inoltre, che possono arrivare a distanza anche di molti anni dalla entrata in vigore delle leggi sulle quali intervengono, non ovviando ai danni che le persone hanno dovuto subire e ancora subiscono in conseguenza di leggi non conformi alla Carta Costituzionale.
In primavera probabilmente potremo votare per i referendum abrogativi proposti dalla Cgil, tra i quali quello per abrogare “le norme che impediscono il reintegro al lavoro in caso di licenziamenti illegittimi” come disposte dal d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23.
Informiamoci e informiamo, per non perdere l’occasione di esercitare la nostra sovranità che, come ricordava Meuccio Ruini, “si esplica, mediante il voto, nell’elezione del Parlamento e nel referendum” (relazione al progetto della Costituzione, presentata alla AC il 6.2.1946) e riprendiamo dunque il cammino della reale tutela della dignità delle persone.
*Laureato in Giurisprudenza, si è occupato prevalentemente di organizzazione e formazione presso importanti Gruppi aziendali. Realizza incontri sulla Costituzione e l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.
L'articolo Jobs Act, altro affondo dalla Consulta: i passi in difesa del lavoro arrivano sempre da sentenze proviene da Il Fatto Quotidiano.