UDINE. L’università di Udine dice no alla ricerca bellica. Settantaquattro docenti, ricercatori, dottorandi e tecnici amministrativi dell’Università di Udine hanno preso posizione siglando nelle scorse settimane una dichiarazione di obiezione di coscienza alla ricerca bellica che intendono continuare a promuovere per coinvolgere altri colleghi.
Secondo il rettore Roberto Pinton però «lo statuto e il codice etico comportamentale dell’ateneo già impediscono lo svolgimento di qualsiasi ricerca finalizzata a danneggiare qualcuno».
Come dire insomma che, a prescindere dall’adesione all’iniziativa, «nessuno può fare ricerca bellica. Il compito dell’università – spiega Pinton – è favorire il progresso e lo sviluppo della società e non certo fare la guerra, e questo vale sia per la didattica che per la ricerca che deve passare il vaglio degli organi competenti prima di essere autorizzata per non parlare del fatto che nella maggior parte dei casi gli stessi fondi nazionali ed europei che la finanziano escludono questo genere di attività. Come università abbiamo escluso anche le ricerche che potrebbero danneggiare l’ambiente, figuriamoci le persone. Poi è chiaro che in alcuni casi a fare la differenza è l’uso che si fa della conoscenza. A questo proposito la conferenza dei rettori sta lavorando per fissare delle regole più generali proprio sull’uso della conoscenza che viene prodotta».
Lo scenario internazionale ha però spinto molti professori a prendere posizione in maniera esplicita. «Ci siamo sentiti in dovere di dare un segnale – sottolinea il professore Francesco Nazzi – e sarebbe auspicabile che anche l’università lo facesse. Speriamo anche che ci venga concesso uno spazio anche sul web per proseguire con la raccolta delle firme».
Nel testo viene rimarcato che «di fronte all’immane sofferenza delle popolazioni civili di Gaza e di tutti gli altri luoghi in cui imperversa la guerra sul nostro pianeta, in linea con illustri predecessori provenienti dal mondo accademico, come Albert Einstein e Bertrand Russell, riteniamo che la proliferazione degli armamenti costituisca una seria minaccia alla pace e comunque sottragga risorse che potrebbero essere dedicate al benessere delle popolazioni civili. Siamo altresì convinti che l’attuale situazione mondiale imponga interventi urgenti, decisi e concreti e apprezziamo lo stimolo ricevuto dagli studenti della Acampada Universitaria per la Palestina di Udine che hanno voluto segnalare con le proprie iniziative la gravità della situazione attuale».
Da qui la richiesta all’università affinché «si doti di un inventario delle ricerche in corso, da cui sia possibile evincere se tali ricerche siano collegate all’industria bellica o possano portare alla violazione dei diritti umani».
Ipotesi quest’ultima smentita dal rettore Pinton: «Ognuno è libero di portare avanti le iniziative che ritiene ma questa dichiarazione mi sembra ridondante rispetto al nostro statuto».
I sottoscritti si sono impegnati «a non svolgere attività di ricerca collegate all’industria bellica o che possano portare a violazioni dei diritti umani e a non allacciare collaborazioni di ricerca con colleghi, strutture di ricerca e istituzioni impegnati in attività del genere».