Basta all’uso del femminile negli atti pubblici e multa a chi trasgredisce. Quando la Lega ha letto la proposta del suo senatore Manfredi Potenti, gli ha chiesto di ritirare il Ddl perché non era in linea con il partito. E così ha fatto. Ma, nel frattempo, ha scatenato un putiferio. «Spero sia l’occasione invece per rilanciare la proposta del luglio 2022 avanzata dalla senatrice Cinque Stelle Alessandra Maiorino per adottare ambedue i generi nelle comunicazioni istituzionali scritte dal Senato», spiega Giuliana Giusti, ordinaria di Linguistica a Ca’ Foscari e molto attenta all’argomento.
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Professoressa Giusti, l’italiano prevede o no il femminile nei nomi?
«L’italiano prevede dei nomi che hanno una radice comune e quattro desinenze: femminile singolare e plurale e maschile singolare e plurale. Quindi il maschile non è primario nella struttura morfologica del nome. La radice bambin unita a una a o a una o ci informa sul genere della persona».
Perché ciclicamente viene fuori questo dibattito?
«L’utilizzo del maschile quando si parla di una donna è entrato come usanza solo nel nostro secolo. Quando nel 1678 a Padova Elena Cornaro divenne la prima donna al mondo a laurearsi in Filosofia venne nominata nel latino lingua franca dell’epoca come magistra et doctrix e non come magister et doctor. Per la prima volta un titolo sempre usato al maschile venne riformulato al femminile, ma così fecero anche Dante o Brunetto Latino utilizzando sindaca, ministra o consigliera. I nomi di ruolo quando si riferiscono a una storia precisa devono declinare al femminile perché altrimenti il risultato è una frase falsa. Se io dico è arrivato il sindaco, ma parlo di una donna sindaca non sto dicendo il vero».
Perché molte donne vogliono utilizzare il maschile?
«Parliamo di maschile di prestigio, ovvero un maschile che viene utilizzato per indicare posizioni di prestigio. Lo fanno perché alcune donne sono abituate a sentire l’utilizzo della forma maschile associato al prestigio e si adeguano perché al femminile credono sia una diminuzione. Per esempio, dire segretario di partito indica una posizione di grande responsabilità, mentre segretaria sembra rimandare a un ruolo impiegatizio. Elly Schlein per fortuna si fa chiamare segretaria e quindi il problema qui non si pone».
Perché dà fastidio declinare una professione al femminile?
«Le parole acquistano una certa connotazione in base all’uso che se ne fa. La Lega si è sempre dimostrata abbastanza aperta all’uso del femminile. Quando due anni fa il Movimento Cinque Stelle aveva fatto richiesta di un cambio di regolamento nel Senato per un linguaggio più inclusivo, non ci sono stati obiezioni della Lega a riguardo. Fratelli d’Italia aveva chiesto il voto segreto ed era stato affossato».
Secondo lei c’è bisogno di un regolamento per un linguaggio più inclusivo?
«Sì, spero che la bocciatura della proposta del leghista Manfredi Potenti da parte del suo stesso partito almeno faccia riflettere sull’importanza del tema».