Damiano Tommasi “servitore di due padroni”, per dirla con una nota commedia goldoniana. Questa l’allegoria causale della crisi politica che morde la giunta di centrosinistra del sindaco di Verona. Da residente della città ritengo che, per esperienze praticate e fatti accaduti, questa crisi superi l’orizzonte dell’interesse locale.
Parto distinguendo il fronte politico da quello che è considerato il casus belli della crisi, cioè la “questione Marangona” che da un mese occupa la cronaca cittadina. In estrema sintesi, si tratta del via libera alla cementificazione di un’area pari a 1 milione e mezzo di metri quadri, ai bordi di una città dove i capannoni industriali dismessi si contano a decine. Una decisione perfettamente sovrapponibile alla proposta della precedente amministrazione di destra. Irrilevante il maquillage compensatorio, non vincolante in quanto non avente forza di strumento urbanistico, che è stato inserito nella delibera approvata. Unici voti contrari quello di un assessore, Michele Bertucco, e di una consigliera di maggioranza, Jessica Cugini, che hanno inteso rimanere fedeli, oltre alle proprie storie personali, soprattutto al punto del programma elettorale della coalizione Tommasi sindaco che prevedeva la cessazione di ogni consumo di suolo in un territorio già ampiamente abusato.
Richiamando questa coerenza, l’assessore Bertucco non intende dimettersi, come richiesto da tutti i suoi colleghi, ma attende di essere dimesso dal sindaco che però da un mese tentenna. Al momento il grottesco tentativo di compromesso concepito dal sindaco sarebbe quello di far sottoscrivere al disobbediente un codice di comportamento, fino ad ora secretato anche all’interessato, in cui per il futuro si prometta l’astensione da ogni forma di dissenso pubblico su decisioni prese a maggioranza. Ci sarà una nuova giunta? Lo scopriremo ma a farne le spese sarebbe l’urban health, perché alla fine la gestione di una città scarica le sue contraddizioni sul benessere dei cittadini e quindi sulla salute pubblica.
Ma torniamo all’allegoria. Qui i due padroni in gioco sono due Fondazioni, una dello spettacolo areniano, Fondazione Arena, e un’ altra bancaria, Fondazione Cariverona. Della prima si è occupato Report in un servizio Tv in cui si è mostrato come quella “terra di mezzo” che gravita intorno all’Extra-lirica, cioè all’organizzazione degli impattanti spettacoli in Arena di pop star normalmente ospitati negli stadi, abbia comportato anche provvedimenti giudiziari rilevanti per fatti a cavallo tra corruzione ed finanziamento illecito a uomini politici. Ciò nonostante, si è visto come coloro che popolano questo mondo opaco siano ancora lì, al loro posto, pur con qualche cambio di ruolo.
Il balbettio di Tommasi di fronte alle telecamere di Report ha testimoniato quanto egli sia prigioniero di Fondazione Arena, tanto da dover subire dalla destra governativa nazionale la nomina di Cecilia Gasdìa a sovrintendente della Fondazione, che ha voluto all’Arena il tenore Placido Domingo, più volte accusato di molestie.
E poi c’è Fondazione Cariverona che ha ceduto storici e preziosi beni immobili in centro città a una società immobiliare che li ha destinati alla residenzialità alberghiera extralusso tramite una delibera approvata sul filo di scadenza dalla precedente giunta di destra che non ha lesinato ad avvalersi della legge “sbocca-Italia” di Matteo Renzi che consente di by-passare molti vincoli autorizzativi. Quando questo progetto, fermo a causa di ricorsi amministrativi di soli soggetti privati ancora pendenti, diventerà esecutivo, il piccolo centro storico di Verona sarà stravolto sia dal traffico indotto dei servizi alberghieri ausiliari che dall’ulteriore fuga dei residenti progressivamente sostituiti non dagli immigrati, ma dai turisti.
Per una Fondazione di natura territoriale è già un sacrilegio cedere al privato un simile patrimonio. Dovrebbe quindi almeno tacere per vincolo giuridico che non consente alle Fondazioni d’interessarsi a operazioni speculative ma soltanto a investimenti di natura sociale a favore del proprio territorio. E invece no, il suo attuale presidente, Bruno Giordano, ha avuto l’ardire di vantarsi pubblicamente della bontà di questa scelta.
Ma la questione delicata è che l’attuale vice-sindaca con delega all’Urbanistica voluta dal sindaco Tommasi, Barbara Bissoli, è proprio l’avvocata che ha gestito per conto di Fondazione Cariverona questa cessione immobiliare con nuova destinazione d’uso e che in esordio alla sua nomina si è espressa pubblicamente a favore degli alberghi extralusso in città, pensando di avvalersi ancora dello “Sblocca Italia”. A denunciarlo è stato Marco Padovani (Fratelli d’Italia) che polemizzò anche con la nomina dell’avvocato Giuseppe Perini a capo di gabinetto del sindaco, imparentato con l’ex-presidente della medesima Fondazione Alessandro Mazzucco. Insomma, nella politica urbanistica cittadina un po’ di conflitto di interessi s’intravede.
E infine il revamping di un inceneritore dismesso sempre alle porte della città, che in sinergia funzionale con un impianto gemello ubicato nella laguna veneziana dovrebbe provvedere alla combustione dei fanghi di depurazione di tutte le acque reflue della regione Veneto. Polveri sottili a parte, in una zona geografica notoriamente con l’aria più inquinata d’Italia, rimane il problema tecnico insuperato della distruzione dei Pfas, quei contaminanti chimici che hanno inquinato una falda acquifera pari per volume al vicino Lago di Garda configurando il più grave inquinamento d’Europa.
Nonostante le pesanti perplessità espresse dallo ISS interpellato da Regione Veneto, l’attuale assessore all’Ambiente veronese, Tommaso Ferrari, intende procedere, esattamente come la precedente giunta. Ergo, si rinuncia al proprio programma per perseguire quello degli avversari: un esempio perfetto di suicidio politico.
L'articolo Verona stretta tra cementificazione e svendita di immobili storici. La crisi vista da un cittadino proviene da Il Fatto Quotidiano.