Ci trasporta nel suo mondo poetico e misterioso, Josef Nadj, il cui atteso ritorno a Mittelfest è previsto oggi martedì 23, al Teatro Ristori, alle 21.30, con Full Moon, spettacolo in prima italiana coprodotto da 11 istituzioni internazionali.
Nella relazione tra scena e processi emotivi, il regista e coreografo ungherese attinge a un vocabolario suggestivo e simbolico, che oltre a determinare il suo stile personale consente allo spettatore di condividere il suo universo in cui umorismo e fragilità umana coesistono.
Formatosi a Budapest presso l'Istituto di Belle Arti e alle pratiche delle arti marziali e del teatro, Nadj ha scelto poi la Francia come luogo di sperimentazione per fondare la sua prima compagnia, Théatre Jel, con la quale nel 1987 firma il suo iconico Canard Pékinois risultato di una poetica che mescola teatro fisico e danza atta a creare una dimensione scenica grottesca e surreale.
Al Festival di Avignone, di cui era artista associato nel 2006, è stato ufficialmente designato come "creatore senza frontiere": oscillando tra realtà e fantasia, tradizione e modernità, esplora l'essenziale, il rapporto dell'uomo con se stesso. Un'esplorazione in cui la danza incontra e si intreccia con altre espressioni artistiche dando vita a forme d'arte rivelate non solo dal corpo ma anche da immagini, effetti ottici e oggetti.
Full Moon evoca l'energia generata dalle diverse provenienze dei suoi performer, sette danzatori africani coinvolti in una ricerca che confluisce dal precedente lavoro sulla memoria, Omma. Qui Nadj fa leva sulla loro immaginazione, in modo che l’aspetto rituale assuma caratteristiche espressive inusuali e profondamente evocative.
Quali dimensioni vuole esplorare con Full Moon?
«Il mio obiettivo era quello di andare dalla dimensione più piccola alla più grande. Sono stato attratto dalla Luna in quanto simbolo di rinnovamento e trasformazione, desideravo esplorare fine e inizio del suo ciclo che si fa struttura ritmica, tempo ballato».
Già in Omma, visto due anni or sono anche in Italia, ha portato in scena i performer africani che vedremo a Cividale. Come ha concepito insieme a loro il lavoro?
«Piuttosto che affidarmi solo alle forme tradizionali che già possedevano, il mio interesse era trovare un gesto personale in ciascuno degli artisti».
La partitura musicale di Full Moon incrocia poliritmia e jazz nero americano. Perché ha voluto questa ricchezza musicale?
«Cercavo un’eco della musica jazz afroamericana. Nel lavoro utilizziamo la musica dell'Art Ensemble of Chicago, che rivendica fonti africane nella sua ricerca, e quindi al di fuori di questo gruppo ho voluto attingere al mondo delle percussioni per assicurarmi l'energia che da questo può emergere».
Lei si è ispirato a lungo alla Mitteleuropa, oggi cambia Continente. Cosa rappresenta per Lei l'Africa?
«Sono le tradizioni viventi che mi affascinano e ho scoperto che la musica e la danza, tra loro collegate, sono onnipresenti nell'Africa nera, con un'incredibile varietà e ricchezza. Inoltre, mi ha sempre interessato la comunità Dogo che continua a ispirarmi».
L'assunto artistico di Mittelfest 2024 è “Disordini” la cui accezione può rappresentare ogni passaggio epocale da cui dover ripartire. Cosa ne pensa?
«Dove c'é disordine bisogna cercare di mettere ordine».