Belli i Caraibi. Il mare cristallino, le nursery delle tartarughe sul bagnasciuga, le spiagge libere. Ma che si mangia e che si beve? Siamo stati ad Aruba, nelle Piccole Antille, una delle principali isole dei Caraibi sud-orientali, di fronte al Venezuela. Una meta sempre più ambita anche dagli italiani che amano il buon cibo e che ricercano nei loro viaggi anche esperienze gastronomiche. Ecco, un piccolo vademecum.
Sembrerà strano ma l’acqua è buona, nel senso che è buona quella dal rubinetto. Non si paga in nessun ristorante, in nessuna struttura ricettiva. Vedrete arrivare al vostro tavolo caraffe piene di acqua e cubetti di ghiaccio, riempiranno i vostri bicchieri, sempre, costantemente. E anche in hotel, ogni piano è dotato di macchina del ghiaccio perfetto per le vostre borracce griffate (un business pazzesco quello del ghiaccio se ci pensate!).
La bontà dell’acqua è merito del W.E.B Aruba (Water and Electricity Bureau), moderno impianto di desalinizzazione dell’isola che rende utilizzabile l’acqua del mare. Pensate che nel 2004 ha vinto il prestigioso Monde Selection Grand Gold Quality Award a Bruxelles. Una struttura all’avanguardia, se consideriamo che è stata realizzata vent’anni fa.
L’acqua del mare desalinizzata è alla base della produzione della Balashi, fiore all'occhiello della birra locale, prodotta per la prima volta nel 1998. L’isola è legata all’Olanda per ovvie ragioni storiche ed economiche, tante merci sono importate dai Paesi Bassi, birre comprese. Questo fin quando non è nata Balashi, che nella lingua indigena “papiamento” vuol dire proprio “acqua”, ed è il nome dell’area in cui ha sede il birrificio.
Anche la birra dell'isola, come la cucina, è un mix di ingredienti internazionali: c’è l’acqua desalinizzata di Aruba, il malto scozzese e il luppolo tedesco. L'azienda produttrice detiene il 52% del consumo di birra sull’isola e per il momento non ci pensano proprio ad esportarla. Una birra rinfrescante, una pilsner in stile olandese, che ricorda la Corona, infatti sì beve con uno spicchio di lime.
Scordatevi la pulizia e il rigore che potreste trovare nelle cucine parigine e in tanti angoli del nostro paese. Non fate paragoni, non è quello l’approccio che si dovrebbe avere quando si va dall’altra parte del mondo a visitare un paese nuovo. Siamo ai caraibi, la loro cucina è creola, vuol dire che ha fuso abitudini gastronomiche europee, indigene e africane.
C’è tutto in quei piatti, si sente e si vede: non lavorano per sottrazione e le porzioni sono “americane” o come diremmo in Italia, “meridionali”. Abbondanti. Anche il servizio nei ristoranti strizza l’occhio al popolo americano, sono pur sempre il loro migliore interlocutore, devono soddisfarli, quindi il servizio è veloce. Anche un po’ troppo se sei abituato a goderti una serata in tranquillità davanti ad un buon piatto e un vino tenuto in fresco fino all’ultimo.
Si vedono tutte le culture che sono passate da questa isola, tutti gli strati sociali coinvolti. Si deve però essere consapevoli che è quasi tutto importato (pesce compreso), perché Aruba non produce quasi nulla (vista la scarsità di piogge e il terreno non proprio fertile) e se può frigge o griglia, piuttosto che cuocere in forno, perché fa troppo caldo e perché un tempo scarseggiava il legname.
In questo meltin pot di proposte gastronomiche ci sono alcuni punti fermi, come i gamberi impanati al cocco o il Funchi, alimenti base di Aruba mangiati a qualsiasi ora, le cui origini sono olandesi. Nulla di sorprendente per noi, si tratta di fette di polenta di mais arrostite e servite con formaggio Gouda (olandese pure questo, a pasta dura).
Dici Caraibi e pensi alla piña colada o al mojito. Tutto giusto. Ma cosa hanno in comune? Una sola cosa, il Rum. Ecco, se visiti un paese, inizia con il fidarti delle sue produzioni. È il caso del primo rum invecchiato ad Aruba e del primo gin prodotto nella distilleria Pepe Margo. Scegliete loro per i vostri drink e magari fate un salto in distilleria per toccare con mano le vostre “basi”.
Si trova nella casa di Catarina Margarita, in uno degli edifici più antichi di Oranjestad, la capitale e la città principale di Aruba. L’attività è stata avviata da Jonathan, un biologo che ha girato il mondo, ha imparato l'arte nella distilleria Feller in Germania e poi è tornato ad Aruba, dove è nato, per tracciare la sua strada e produrre i suoi liquori. Oggi la distilleria produce rum (melassa, lievito e l'imballaggio sono importati) e gin, dove le botaniche sono coltivate nel giardino della distilleria e le bacche di ginepro importate. In distilleria rimarrete affascinati dalle botti di Bourbon di quercia americana in cui sono conservati i prodotti. Porta sempre la loro firma Calypso, il primo seltz prodotto ad Aruba.
Una dritta? Scegliete il loro rum per miscelare l'Aruba Ariba, il drink dell’isola, variante arubana del punch al rum caraibico, creato nel 1963 all'Aruba Caribbean Hotel, durante una competizione tra baristi. Cosa c’è dentro? Tante cose com’è nel loro stile. C’è la vodka, il rum, il liquore alla banana, la granatina, vari succhi di frutta (arancia, ananas, limone), mescolati con ghiaccio tritato, ai quali in chiusura si aggiunge una ciliegia al maraschino e una fetta di arancia. Cheers!
Ve l’ho detto che ad Aruba amano il fritto, vero? Ecco, perché uno dei loro piatti signature è il Pastechi. È la prima cosa che vi faranno assaggiare. Lo mangiano a colazione, a merenda ma anche pranzo o aperitivo e perché no, cena. Un impasto fritto a mezzaluna, tendenzialmente dolce che ricorda una empanada ma anche i panzerotti di casa, la Puglia. Dentro ci potete trovare di tutto, dalla carne, al pesce ma anche verdure e soprattutto formaggio. E spezie come se piovessero dal cielo. Un consiglio? Mangiatelo insieme ad un altro must dell’isola, le salse piccanti. La più conosciuta è la Pica di Papaya, una salsa arancione a base di papaya verde, aceto, cipolle e del piccantissimo peperoncino Madame Janette, simile all’habanero.