Che dire della proposta di legge del già deputato (dal 2018 al 2022) ed ora senatore leghista Manfredi Potenti da Cecina, 48 anni appena compiuti, toscano dall’evidenza del nome?
Niente: a poco più di 24 ore dalla sua comparsa la proposta di Ddl di Potenti, che prospettava di vietare negli atti pubblici “il genere femminile per neologismi applicati ai titoli istituzionali dello Stato, ai gradi militari, ai titoli professionali, alle onorificenze, ed agli incarichi individuati da atti aventi forza di legge” e che altresì suggeriva che “la violazione degli obblighi di cui alla presente legge comporta l’applicazione di una sanzione pecuniaria amministrativa consistente nel pagamento di una somma da 1.000 a 5.000 euro” è stata sconfessata dallo stesso partito di appartenenza del senatore.
Un lancio di agenzia annuncia che “la proposta è una iniziativa del tutto personale”, e chiosa: “I vertici del partito, a partire dal capogruppo Romeo, non condividono quanto riportato nel Ddl, il cui testo non rispecchia in alcun modo la linea della Lega, che ne ha chiesto il ritiro immediato”.
Scampato pericolo per chi si ostina a trovare normale e ovvio dire avvocata, questora, architetta, chirurga, sindaca, assessora. E che brutta figura ha fatto l’onorevole: viene proprio da compatirlo questo senatore negazionista dell’esistenza del femminile grammaticale, quello che si insegna dalle scuole elementari.
Potenti avrà pensato bene di dare spazio e voce al retaggio ancestrale della sua terra, che oltre ad avergli dato i natali, pullula di proverbi sagaci sulle donne: donne e oche, tienne poche; la donna è come la castagna; bella fuori, e dentro è magagna; le donne dicono sempre il vero; ma non lo dicono tutto intero; lacrime di donna, fontana di malizia; alla vigna e alla sposa manca sempre qualche cosa; moglie bella ti fa far la sentinella e via così.
Non c’è dubbio che Potenti ci sarà rimasto molto male dell’atteggiamento troppo concessivo verso le donne e verso la protervia della concordanza degli aggettivi e dei nomi con il sesso: lui è un sensibile animalista e devoto alla causa della salute dei cittadini, come documentato dal suo profilo Instagram, nel quale annuncia il perfezionamento di una proposta di legge per l’istituzione di cani da assistenza sanitaria, con un fiuto capace di avvertire dei picchi glicemici le persone malate di diabete.
Speriamo davvero che almeno questa proposta gliela passino al partito.
Gli va dato il merito di avere, con coraggio e onorevole trasparenza, messo nero su bianco il terrore misogino di parte dell’elettorato maschile leghista, (ovviamente supportato da parte dell’elettorato femminile), nei confronti dell’esistenza delle donne in generale e in particolare nei luoghi di potere: dalla rappresentanza politica alla giustizia, dalla finanza alle professioni scientifiche l’intollerabile presenza di donne, resa evidente oltre che dal corpo anche dal titolo correttamente declinato secondo la concordanza, per alcuni maschi risulta un fenomeno da arrestare, almeno dal punto di vista del nome. Come diceva Rosa Luxemburg il primo atto rivoluzionario è chiamare le cose con il loro nome.
Potenti avrà pensato di essere nel momento storico giusto per dare una bella mazzata alla rivoluzionaria presa d’atto che la concordanza esiste nella lingua italiana (sempre dalle elementari), visto che Meloni si rifiuta di essere chiamata la premier, perché secondo lei il ruolo è neutro (maschile però), dimenticando che nel Salve regina la madonna viene chiamata advocata nostra. Gli è andata male, direi.
Ma è importante che i vari Potenti e ancelle al seguito continuino a ricordarci che il patriarcato, oltre a fornire deliziosi spunti per la satira, è sempre alla ricerca di modi vecchi e nuovi per la cancellazione delle donne e della loro autorevolezza.
L'articolo No all’uso del genere femminile? Che paura le donne (anche se ti chiami Potenti) proviene da Il Fatto Quotidiano.