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Torture e isolamento per i ‘combattenti illegali’ palestinesi: così Israele viola il diritto internazionale

La prima volta che un governo israeliano usò l’espressione “combattenti illegali” rendendola oggetto di una legge risale al 2002: l’obiettivo era consentire la detenzione prolungata, senza accusa né processo, di due cittadini libanesi, che in quanto tali non erano sotto la giurisdizione israeliana.

Ma dal 7 ottobre 2023, a seguito degli orribili attacchi di Hamas e di altri gruppi palestinesi nel sud d’Israele, la Legge sui combattenti illegali è diventata d’uso quotidiano. Gli effetti sono descritti in una ricerca di Amnesty International basata, tra l’altro, sulle testimonianze, raccolte in prima persona, di 27 ex detenuti e detenute, trattenuti anche per 140 giorni.

Inizialmente, l’esercito israeliano aveva chiesto l’applicazione della normativa per arrestare persone sospettate di aver preso parte agli attacchi del 7 ottobre, ma in breve tempo ne ha ampliato l’uso per effettuare arresti di massa di palestinesi della Striscia di Gaza e trattenerli, senza contatti col mondo esterno, a tempo indeterminato senza accusa né processo.

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L’esercito israeliano ha arrestato i detenuti in varie località della Striscia di Gaza, tra le quali Gaza City, Jabalia, Beit Lahiya e Khan Younis. I detenuti sono stati presi all’interno di scuole adibite a rifugi per sfollati interni, nel corso di irruzioni in abitazioni e ospedali e durante i controlli ai posti di blocco. Tra loro, medici arrestati negli ospedali per aver rifiutato di abbandonare i loro pazienti, madri separate dai loro figli mentre cercavano di fuggire attraverso i cosiddetti “corridoi sicuri” da nord a sud della Striscia di Gaza, difensori dei diritti umani, operatori delle Nazioni Unite, giornalisti e ulteriori civili.

Il Servizio israeliano delle prigioni ha confermato all’organizzazione non governativa israeliana Hamoked che, alla data del 1° luglio 2024, 1402 palestinesi erano detenuti ai sensi della Legge sui combattenti illegali. Questa cifra esclude coloro che sono trattenuti per il periodo iniziale di 45 giorni senza ordinanza formale.

Nel dicembre 2023 è stato approvato un emendamento temporaneo che ha ulteriormente inasprito le norme della Legge sui combattenti illegali. Viene esteso dalle iniziali 96 ore (aumentabili fino a sette giorni) a 45 giorni il periodo in cui l’esercito israeliano può trattenere i palestinesi arrestati senza un’ordinanza di detenzione. Aumenta da 14 a 75 giorni il periodo di tempo in cui una persona può essere detenuta senza essere portata di fronte a un giudice e da 21 giorni fino a sei mesi, in seguito ridotti a tre, quello in cui non può incontrare un avvocato.

Le prove su cui si basa la detenzione non sono rese note ai detenuti (né ai loro avvocati), che dunque per mesi non hanno la minima idea dei motivi della detenzione, in violazione del diritto internazionale, completamente isolati dalle loro famiglie e dai loro cari e nell’impossibilità di contestare l’ordinanza di detenzione.

Due ex detenuti hanno raccontato ad Amnesty International di essere stati portati due volte davanti a un giudice senza poter parlare o fare domande. Gli è stato semplicemente comunicato che la loro detenzione era stata rinnovata per altri 45 giorni. Non sono mai stati informati circa le basi legali del loro arresto o le prove che lo avessero giustificato.

A seguito di un ricorso alla Corte suprema israeliana da parte di Hamoked per conto di un radiologo di Khan Younis in carcere, nel maggio 2024 lo stato israeliano ha informato i giudici che gli avvocati possono fare richiesta d’incontrare i loro clienti di Gaza trascorsi 90 giorni dalla detenzione. Da allora, è stato approvato un numero molto esiguo di richieste.

Oltre a essere privati dei contatti coi loro legali, i detenuti sono anche isolati dalle loro famiglie. Queste hanno descritto ad Amnesty International il senso di agonia derivante dall’essere separate dai loro cari e dal vivere nella costante paura di scoprire che sono morti in carcere.

Maltrattamenti e torture

I 27 ex detenuti intervistati da Amnesty International hanno descritto in modo coerente di essere stati sottoposti almeno una volta alla tortura. Rappresentanti dell’organizzazione hanno osservato segni di tortura su almeno otto ex detenuti intervistati personalmente e hanno anche esaminato referti medici riguardanti due ex detenuti, che hanno corroborato le denunce di tortura.

Il Crisis Evidence Lab di Amnesty International ha verificato e geolocalizzato almeno cinque video di arresti di massa, avvenuti nel nord della Striscia di Gaza e a Khan Younis, di detenuti filmati mentre venivano obbligati a denudarsi e lasciati in mutande. L’obbligo di rimanere nudi in pubblico per lunghi periodi di tempo viola il divieto di maltrattamenti e torture ed equivale a violenza sessuale.

I palestinesi trasferiti al famigerato centro di detenzione militare di Sde Teiman, nei pressi di Beersheba, nel sud d’Israele, hanno dichiarato di essere rimasti bendati e ammanettati per tutta la durata della loro detenzione, di essere stati costretti a rimanere per molte ore in posizioni che procuravano dolore senza poter parlare tra loro o alzare la testa. Questi racconti sono coerenti con le conclusioni di altre organizzazioni per i diritti umani e di organismi delle Nazioni Unite così come con le testimonianze di whistleblower e di ex detenuti.

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Said Maarouf, un pediatra di 57 anni arrestato nel dicembre 2023 dai soldati israeliani durante un’incursione nell’ospedale battista di al-Ahli di Gaza City, detenuto per 45 giorni a Sde Teiman, ha raccontato ad Amnesty International di essere stato tenuto bendato e ammanettato per l’intera durata della detenzione, ripetutamente picchiato, ridotto alla fame e costretto a stare inginocchiato per lunghi periodi di tempo.

Il 1° gennaio 2024 l’esercito israeliano ha arrestato un ragazzo di 14 anni nella sua abitazione di Jabalia, nel nord della Striscia di Gaza. È stato detenuto per 24 giorni a Sde Teiman insieme ad altri 100 detenuti adulti. Ha riferito ad Amnesty International che gli addetti agli interrogatori lo hanno preso a calci e a pugni sul collo e alla testa e lo hanno ripetutamente bruciato con sigarette. Quando Amnesty International l’ha intervistato, il 3 febbraio, in una scuola di Gaza per sfollati interni, i segni delle bruciature e di altre ferite erano ancora visibili. Nel corso della detenzione, il ragazzo non ha potuto telefonare ai suoi familiari né vedere un avvocato ed è stato tenuto bendato e ammanettato.

Il 3 giugno l’esercito israeliano ha confermato al quotidiano Haaretz che erano in corso indagini sulla morte di 40 detenuti, 36 dei quali deceduti o uccisi a Sde Teiman. Non c’è stata finora alcuna incriminazione. Quella cifra non comprende i detenuti deceduti o uccisi nelle strutture penitenziarie dirette dal Servizio israeliano delle prigioni.

Le detenute

Tra le persone tornate in libertà intervistate da Amnesty International ci sono anche cinque ex detenute rimaste senza contatti col mondo esterno per oltre 50 giorni. Inizialmente, sono state trattenute nel centro di detenzione militare per sole donne di Anatot, situato in un insediamento illegale nei pressi di Gerusalemme, nella Cisgiordania occupata. In seguito, sono state portate nella prigione femminile di Damon, nel nord d’Israele, gestita dal Servizio israeliano delle prigioni. Nessuna di loro è stata informata circa le basi legali dell’arresto o portata di fronte a un giudice. Hanno denunciato che durante i trasferimenti venivano picchiate.

Una di loro, arrestata il 6 dicembre 2023 nella sua abitazione nella Striscia di Gaza, ha raccontata di essere stata separata dai suoi due figli, di quattro anni e nove mesi, e detenuta inizialmente insieme a centinaia di uomini. I soldati israeliani le dicevano che faceva parte di Hamas, la picchiavano e la obbligavano a essere fotografata senza il velo. La donna ha anche descritto il tormento della finta esecuzione del marito: “Il terzo giorno di detenzione ci hanno gettato in una fossa e hanno iniziato a riempirla di sabbia. Un soldato ha sparato due colpi in aria e mi ha detto che avevano ucciso mio marito. Sono scoppiata a piangere e l’ho supplicato di uccidere anche me, per porre fine a quell’incubo”.

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“Ero terrorizzata tutto il tempo per i miei bambini”, ha raccontato ad Amnesty International un’altra ex detenuta, dato che le sue richieste di sapere qualcosa sui suoi figli erano ignorate dagli agenti penitenziari che ridevano e la prendevano in giro. Dopo tre settimane trascorse nella prigione di Damon, le è stato detto che sarebbe stata scarcerata. È stata bendata, ammanettata mani e piedi e portata in un’altra località. Qui, anziché essere scarcerata, è stata violentemente denudata dagli agenti penitenziari, che hanno usato un coltello per strapparle i vestiti. È poi stata trasferita nuovamente ad Anatot, dove è rimasta per altri 18 giorni.

“Ti faremo quello che Hamas ha fatto a noi, ti rapiremo e ti uccideremo”. Così una detenuta ha raccontato ad Amnesty International di essere stata minacciata dagli agenti penitenziari.

Amnesty International ha pertanto sollecitato le autorità israeliane ad abrogare la Legge sui combattenti illegali, una violazione clamorosa del diritto internazionale. Coloro che sono sospettati di crimini di diritto internazionale dovranno essere sottoposti a procedimenti rispettosi degli standard del giusto processo, mentre tutti i civili detenuti arbitrariamente senza accusa né processo dovranno essere immediatamente scarcerati.

L'articolo Torture e isolamento per i ‘combattenti illegali’ palestinesi: così Israele viola il diritto internazionale proviene da Il Fatto Quotidiano.

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