La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza con la quale la corte di assise di appello di Reggio Calabria aveva condannato all’ergastolo l’infermiere calabrese Antonio De Pace per l’omicidio di Lorena Quaranta, la studentessa di Medicina, di Favara, uccisa nella villetta di Furci Siculo la notte del 31 marzo 2020.
Per gli ermellini la sentenza, che aveva confermato il primo grado di giudizio, non ha tenuto conto delle particolari situazioni di stress vissute dall’uomo durante il periodo del Covid. Una decisione che ha suscitato reazioni di sconcerto.
Scrivono gli ermellini che nel caso in specie, la corte di secondo grado doveva valutare, “se la fonte del disagio, evidentemente rappresentata dal sopraggiungere dell’emergenza pandemica, con tutto ciò che essa ha determinato sulla vita di ciascuno e, quindi, anche dei protagonisti della vicenda, e, ancor più, la contingente difficoltà di porvi rimedio, costituiscano fattori incidenti sulla misura della responsabilità penale”.
Sostanzialmente nella sentenza si fa riferimento alla componente ansiosa di cui era portatore De Pace, difeso dai legali Bruno Ganino e Salvatore Silvestro, amplificata in quel periodo dalla pandemia. Un atteggiamento psicologico che secondo i giudici potrebbe incidere sulla valutazione del trattamento sanzionatorio.
Era stato Stefano Ferracuti, uno dei più autorevoli psicopatologi forensi, a redigere la perizia psichiatrica su De Pace, rilevando, “l’assenza di disturbi psichiatrici e la presenza di una forte componente ansiosa”, ritenendo il giovane pienamente capace di intendere e volere.
Il rinvio a un appello bis significa un nuovo processo a Reggio Calabria che dovrà tenere conto delle indicazioni dei giudici di legittimità. La concessione delle attenuanti generiche, oltre ad annullare l’ergastolo, consente alla difesa di chiedere l’applicazione del rito abbreviato, che è impossibile nei casi di premeditazione, futilità e crudeltà. Con un abbreviato, se concesso dalla nuova corte di assise d’appello, De Pace potrebbe avere una pensa fra i 18 e i 21 anni di carcere.
“Questo orientamento ci fa paura – spiega l’avvocato Cettina La Torre, costituitisi parte civile come centro ‘Al tuo fianco’ – e mette a repentaglio la certezza della pena. Se ogni volta che avviene un femminicidio dobbiamo considerare quello che è lo stato emotivo di chi ha compiuto un delitto talmente efferato, allora significa che tutto può essere giustificato, qualsiasi omicidio. Un orientamento pericoloso che mette a rischio la tutela delle donne e non fa giustizia. In quel periodo tutti siamo stati stressati ma questo non autorizza a strangolare”, aggiunge il legale.
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