25 giugno 1992. Una sera di gran caldo a Palermo. Nell’atrio della biblioteca comunale di Casa Professa, Paolo Borsellino ricorda Giovanni Falcone, morto nella strage di Capaci un mese prima, nel pomeriggio del 23 maggio. E’ l’ultimo discorso pubblico di Paolo Borsellino. Tirato in viso, pronuncia un discorso pensato e pesato pure nelle virgole.
Parla lentamente, come era solito fare, ma anche perché ogni passo del suo ricordo sia bene inteso. Ricostruisce il lento e costante isolamento di Falcone, denuncia “qualche Giuda” che aveva preso in giro e tradito Giovanni. Punta l’indice contro chi nel Paese, nello Stato e nella magistratura, nel Csm, aveva lavorato per smantellare il pool antimafia, per isolare e neutralizzare il lavoro di Falcone. Borsellino è teso, e sappiamo perché: era cosciente di andare anche lui incontro alla morte. Se avevano ucciso Falcone, Paolo sapeva per cosa, e sapeva che anche lui era nel mirino, per le stesse ragioni. C’è tanta gente che lo ascolta a casa Professa, e che non dimenticherà.
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