I giudici dovranno valutare caso per caso ogni singola vicenda giudiziaria riguardante il suicidio assistito. Sarà dunque il giudice nella sua autonomia a valutare, “sulla base dei principi espressi nella sentenza già emessa nel 2019, se una persona è incriminabile in merito alla pratica del suicidio assistito”. È quanto stabilisce la Consulta nella sentenza emessa oggi.
Nella perdurante assenza di una legge che regoli la materia, i requisiti per l’accesso al suicidio assistito restano quelli stabiliti dalla sentenza n. 242 del 2019, compresa la dipendenza del paziente da trattamenti di sostegno vitale, il cui significato deve però essere correttamente interpretato in conformità alla ratio sottostante a quella sentenza. Tutti questi requisiti – (a) irreversibilità della patologia, (b) presenza di sofferenze fisiche o psicologiche, che il paziente reputa intollerabili, (c) dipendenza del paziente da trattamenti di sostegno vitale, (d) capacità del paziente di prendere decisioni libere e consapevoli – devono essere accertati dal servizio sanitario nazionale, con le modalità procedurali stabilite in quella sentenza. Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 135 depositata oggi, nel dichiarare non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Gip di Firenze sull’articolo 580 del codice penale, che miravano a estendere l’area della non punibilità del suicidio assistito oltre i confini stabiliti dalla Corte con la precedente sentenza del 2019.
“La Corte Costituzionale ha respinto tutte le questioni sollevate dai legali dell’associazione Coscioni sul fine vita, negando l’esistenza di un diritto assoluto a decidere come e quando morire e chiudendo la porta a una disciplina indiscriminata sul suicidio assistito e sull’eutanasia, che rischierebbe di indurre alla morte persone fragili depresse ed emarginate. È invece gravissima l’interpretazione estensiva della Corte sulla definizione di ‘trattamenti di sostegno vitale’, una delle condizioni per accedere al suicidio assistito, includendo anche pratiche di assistenza sanitaria alla persona non a diretto supporto delle funzioni vitali di base. A seguito di questa interpretazione aumenta il numero di casi in cui si potrà aiutare una persona a suicidarsi, velocizzando la tragica deriva eutanasica che la Consulta ha inaugurato con la sentenza 2019 sul caso Dj Fabo”. Così Antonio Brandi, Presidente di Pro Vita & Famiglia sulla sentenza della Corte Costituzionale.
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