Il dialetto veneto anche su Google Translate, il servizio di traduzione automatica più diffuso al mondo.
Alla faccia della globalizzazione e dello strapotere della lingua inglese. Adesso anche lo slang dei campanili assume una dignità, per così dire, internazionale.
Non fosse altro perché, d’ora in poi, ogni turista a Venezia potrà controllare sul proprio telefonino il significato delle frasi che i gondolieri si scambiano quando si incrociano sui canali.
A questo punto, però, non ci si può esimere dal raccomandare un certo grado di cautela, visto che al momento il simpatico sistema sembra aver capito davvero poco del dialetto veneto.
Si è divertito a testarlo Michele Cortelazzo, professore emerito di Linguistica italiana all’Università di Padova, a cui era stata chiesa un’opinione in merito. Il docente padovano si è spinto anche più in là: l’ha provato, scoprendo che Google Translate deve farne ancora di strada prima di maneggiare con dimestichezza parole e concetti della tradizione veneta.
El piton xe stà copà viene tradotto in Python viene ucciso, ignorando quindi il fatto che in molte parti del veneto il “piton” è il tacchino.
Me mare me ga petufà, frase che nessuno da queste parti avrà difficoltà a capire, visto che si tratta della più classica delle dinamiche, con la madre che sferra ceffoni alla prole, per il sistema di intelligenza artificiale di Google ha un significato un tantino hard.
Sì insomma, a sfondo sessuale. Non va meglio nella traduzione dall’italiano al dialetto. Mia moglie è andata dal fornaio e ha comprato due pezzi di pane = Mia moglie xe andada dal fornaro e la ga comprà do pani de pan. Toni sgrida i bambini = Toni ghe sgrida i fioi. Il professor Cortelazzo se la ride divertito.
«Da un punto di vista simbolico può essere una cosa importante», dice. «Un tempo se una cosa non veniva insegnata a scuola era meno importante, ora se qualcosa non passa in rete non esiste. Quindi benissimo per il dialetto veneto su Google Translate. Però servirà qualche sforzo in più, per evitare soluzioni che provocano fraintendimenti forti. Dico solo che spero possa migliorare».
Il motore di ricerca più famoso al mondo sta studiando il dialetto veneto grazie all’intelligenza artificiale, modello AI PaLM 2. «Questi strumenti si correggono via-via, strada facendo», analizza Cortelazzo.
«Dunque è possibile che si debba aspettare un po’ di tempo per vederlo funzionare al meglio. Attualmente è davvero debole.
In linea di principio il sistema ha fatto una scelta, che è quella del veneto centrale (Padova, Vicenza, Rovigo): dice mojere e non mugier. Però poi traduce con andado e non andà.
Poi usa molti italianismi e non riesce a produrre la perifrasi progressiva: so drio fare. In definitiva mi sento di dire che, al momento, è uno strumento da usare per giocare e divertirsi ma fa ancora tanti errori».
L’errore concettuale, forse, è quello di considerare il dialetto con una unica lingua, perdendo di vista invece tutte le sfumature proprie delle varie province. I cei di Treviso sono disconosciuti da Padova, dove si parla di bocia, o a Venezia con i putei, o a Verona con i butei.
Veneto terra di mille campanili, ma che ne sanno nella Silicon Valley.