Con il successo di Barbora Krejcikova per l’ottava edizione consecutiva abbiamo nel singolare femminile un nome diverso nell’albo d’oro di Wimbledon: dopo l’ultima coppia di successi di Serena Williams nel 2015 e 2016 l’affermazione di Garbiñe Muguruza nel 2017 ai danni di Venus Williams, ha inaugurato il periodo dei maiden title, delle tenniste al loro primo successo. Dopo l’atleta spagnola, recentemente ritiratasi, abbiamo Angelique Kerber nel 2018 e Simona Halep nel 2019. Passato l’anno della pandemia abbiamo nel 2021 Ashleigh Barty, nel 2022 Elena Rybakina e nel 2023 Marketa Vondrousova. È un caso assolutamente senza precedenti e che sovverte la tendenza di Wimbledon a segnalarsi, attraverso proprio la lista delle campionesse, come l’evento più esclusivo, più per poche.
Se guardiamo appunto al libro dei record, scopriamo che le cinque tenniste più titolate a Londra assommano tra loro trentasette edizioni: Martina Navratilova conta nove finali vinte, solo una in più di Helen Wills-Moody, la tennista-pittrice-scrittrice americana che si impose per l’ottava volta nel 1938. Con sette titoli troviamo un golden tris che accomuna Steffi Graf e Serena Williams alla più grande vincitrice dell’anteguerra, Dorothea Douglass Chambers, capace di vincere nel 1903 e di perdere la finale nel 1919 e nel 1920 contro la divina Suzanne Lenglen. Douglass Chambers è l’unico nome che appare sia tra le finaliste delle edizioni precedenti la Grande Guerra che tra quelle successive.
Per quanto riguarda lo US Open arriviamo a trentadue, con Molla Bjurstedt Mallory per ora inarrivabile a otto successi, Wills-Moody anche qui un gradino sotto, Serena e Chris Evert a sei e un’altra coppia con cinque gioie, Margaret Court-Smith e Graf. A Parigi scendiamo a ventinove per effetto dei sette titoli di Evert, delle mezze dozzine di Lenglen e Graf e della decina equamente divisa tra Court-Smith e Adine Masson, (prima vincitrice del torneo nel 1897). Melbourne arriva a trentatré e segue vicende e fortune diverse: ha una storia più recente e un campo di partecipazione non raramente inferiore in qualità. Per la cronaca ci sono undici successi di Court-Smith, sette di Serena Williams, sei e cinque rispettivamente delle australiane Nancye Wynne Bolton e Daphne Akhurst e quattro a testa del trio Graf – Monica Seles – Evonne Goolagong.
Negli ultimi venti anni il ritiro o l’attività più intermittente, dovuti a motivi diversi, di vincitrici come Venus e Serena Williams, Justine Henin, Kim Clijsters o più recentemente di Barty, ha senz’altro favorito l’accesso a più giocatrici alle fasi decisive dei tornei dello Slam. Solo negli ultimi tempi si è solidificata una gerarchia al vertice del ranking WTA, indubbiamente con l’avvento definitivo di Iga Swiatek ma anche con la crescita irresistibile di Aryna Sabalenka e la continuità di risultati di Elena Rybakina e in parte di Coco Gauff, che peraltro, incredibilmente, ha solo vent’anni. Forse per cercare un’analogia o per utilizzare una formula che ha dettato invece legge tra i maschi, si è così principiato a parlare di Big Three anche al femminile.
La formula è probabilmente prematura, in ogni caso però Parigi ha trovato la sua padrona nella numero uno della classifica Iga Swiatek, che vince spesso con facilità sul rosso e che si è portata a un solo successo dalla sopracitata coppia formata da Court-Smith e Masson. Melbourne vede negli ultimi quattro anni i nomi di Naomi Osaka (numero tre del mondo nel 2021) Barty (numero uno) e per due volte Sabalenka (numero 5 nel 2023 e numero 2 quest’anno) e New York ribatte con Osaka, Swiatek e Gauff; solo nel 2021 il nome di Raducanu non eguaglia il prestigio di quello delle colleghe.
La qualità degli Albi d’Oro è in tal modo maggiormente preservata rispetto a qualche edizione precedente. E cosa succede invece a Wimbledon? Per prima cosa tra i sette primi successi troviamo nomi ugualmente importanti. Annotiamo Muguruza, allora numero 15 ma capace di arrivare al vertice due mesi dopo; poi Kerber, numero dieci che a fine 2018 è già al secondo posto e che due anni prima aveva toccato il vertice. Simona Halep è al settimo posto quando si impone e vanta un passato anche lei da numero uno.
Non c’è nulla da puntualizzare su Barty nel 2021, con la quale, se non si fosse ritirata improvvisamente nel febbraio 2022, tutte le vincitrici successive avrebbero probabilmente dovuto fare i conti; Rybakina ha vinto nel 2022 non da favorita ma è tutt’ora ai vertici del tennis femminile.
Il nome di Vondrousova è forse quello meno fulgido del lotto; in attesa di rivedere Marketa, non nuova a infortuni, ai livelli di un anno fa, quello di Krejcikova è un caso diverso. “Bara” è depositaria di un tennis completo, estroso e classico, con accelerazioni moderne e slice di dritto e di rovescio che decollano quasi insonorizzati dal suo piatto-corde e terminano in parti di prato molto vicine alla riga di fondo. Sa fare tutto in ogni dove e con l’erba il suo tennis si sposa felicemente.
La nuova gerarchia di cui si parlava prima è allergica al verde: Swiatek non si è decisa ad affrontare l’impegno con l’intelligenza che ha mostrato Paolini (e Furlan) e se le cose si mettono male si irrigidisce e prova a suonare la sua musica, sublime a Parigi ma stonata a Londra. Anche Sabalenka, assente quest’anno, ha certo giocato due semifinali ma il suo gioco fatto di colpi potentissimi e soprattutto liftati sulla pelouse perde di incisività; nemmeno Rybakina, la più dotata su questi campi, è sempre tatticamente accorta e se perde di penetrazione il servizio e i colpi non entrano come vorrebbe, non ha varianti di uguale qualità.
Il salto di superficie, peraltro meno decisivo tra le donne che non tra gli uomini, non ha la stessa importanza di quarant’anni fa ma sull’erba non si gioca quasi mai e il vantaggio accumulato dalle migliori sul gruppo delle inseguitrici nel resto della stagione si assottiglia e crea i presupposti perché nella contesa per il Piatto si insinui qualche elemento in forma e particolarmente propenso al lawn tennis. Lo spazio per qualche sorpresa quindi a Londra è maggiore. È inoltre il caso di ricordare che Krejcikova è comunque stata numero due del mondo e ha vinto nel 2021 il Roland Garros; nel febbraio 2023 ha vinto a Dubai battendo le prime tre giocatrici della classifica. Insomma, forse a livello nervoso non è sempre impeccabile (quasi una tradizione tra le tenniste ceche), ma se sta bene gioca al livello delle migliori.
Un occhio, infine, ad alcuni dati più legati all’evento finale 2024: da sabato sono ora otto le annate in cui la finalista di Parigi è la stessa di Londra. Nel 1972 Goolagong, nel 1973 Evert e nel 1974 Olga Morozova. Ancora Evert nel 1984 e Arantxa Sanchez nel 1995 e nel 1996, Venus nel 2002 e appunto Jasmine Paolini. Per la ragazza di Bagni di Lucca la sconfitta con Krejcikova è la nona su altrettanti confronti a livello di main draw: un dato da sfatare al più presto per Jas, magari già ai Giochi Olimpici.
