/ PAVIA
Sarà sentita in aula con modalità protette, dietro a un paravento e con la possibilità di entrare da un ingresso alternativo che le consenta di non vedere gli imputati, cioè i suoi genitori. La giovane, che fino a settembre dello scorso anno frequentava una scuola superiore di Pavia e che oggi vive in una comunità, li ha denunciati per maltrattamenti e mandati a processo. Ieri mattina il giudizio si è aperto davanti al giudice Vincenzo Giordano: sono stati ammessi tutti i testimoni, a cominciare dai docenti e dalle compagne della scuola che la ragazza frequentava.
In udienza è emerso anche che la madre della studentessa nelle ultime settimane avrebbe raggiunto la figlia al telefono, attraverso messaggi: una circostanza che l’avvocata di parte civile, che rappresenta la giovane, Emanuela Fumagalli, ha contestato, ma che per la difesa non è anomala, perché nei confronti dei genitori non ci sono provvedimenti cautelari, come il divieto di avvicinamento o di contatto. Non è escluso, tuttavia, che una misura di questo tipo possa essere chiesta e disposta anche nel corso del processo. Nel giudizio sono parti civili anche la sorella e un fratello della studentessa, entrambi minorenni, rappresentati dalla curatrice speciale Francesca Vaccina e dall’avvocata Francesca Timi.
La difesa
Il giudice, dopo avere ammesso le prove e i testimoni, ha rinviato il processo a marzo del prossimo anno. In aula ieri mattina c’erano i genitori, rappresentati dall’avvocato Paolo Sabbioni, che dovrà provare a smontare l’impianto accusatorio. «Non abbiamo chiesto alcun rito alternativo perché riteniamo di doverci confrontare con chi ha mosso accuse che riteniamo infondate – dichiara il legale –. Per questo ho chiesto che venissero sentiti tutti i testimoni e non ho dato il consenso alla rinuncia ad alcuni, chiesta dal pubblico ministero». La procura contesta alla madre e al padre della giovane, entrambi over 40 e di origine nordafricana (le generalità degli imputati si omettono per la delicatezza della vicenda e per tutelare le parti offese), l’accusa di maltrattamenti sui figli e per il padre della studentessa c’è anche la contestazione di violenza sessuale, aggravata dalla relazione con la vittima e dall’età della giovane, che all’epoca dei fatti era minorenne.
Le accuse
La ragazza nella sua denuncia ai carabinieri, presentata a settembre dello scorso anno (quando aveva anche deciso di lasciare la scuola di Pavia), ha raccontato di violenze fisiche ma anche psicologiche, scaturite in un contesto culturale ancorato alle tradizioni della famiglia e del Paese d’origine. I genitori, secondo la sua versione, costringevano lei e la sorella a vestire solo in un certo modo e vietavano loro di frequentare o parlare con i ragazzi. I figli, inoltre, dovevano seguire oltre alla scuola italiana anche quella araba. Sul rendimento scolastico c’era, secondo la versione della studentessa, molta rigidità da parte dei genitori. Se il comportamento dei figli usciva dal binario che i genitori avevano tracciato allora scattavano, secondo l’accusa, le violenze fisiche. Oggi la studentessa vive in un’altra città, mentre la sorella e il fratello sono stati portati nel paese d’origine lo scorso autunno. —