TRIESTE «Praticare l'arte, soprattutto per coloro che provengono da un ambiente operaio, nelle Filippine è considerato un lusso. Ho potuto permettermelo solo grazie al sostegno dei miei generosi parenti, per lo più donne, lavoratori migranti in Europa. Senza di loro non credo che sarei in grado di costruire le basi della mia carriera di operatore culturale».
Così l’artista filippino Czar Kristoff, che, ospite in questi giorni degli spazi della Contrada nell’ambito di Vettori 2024 - Residenze artistiche, oggi alle 18 alla Sala Polacco, adiacente al Teatro La Contrada (e non al Teatro dei Fabbri come indicato inizialmente) presenterà cos’è nato dal suo progetto “Be/Com/Ing A Monument”. Da sempre Kristoff, che vive e lavora a Laguna, provincia filippina nell'isola di Luzon, incrocia performance, architettura e fotografia. E mira a esplorare come, perché e quando i monumenti vengono costruiti, mantenuti, lucidati, celebrati, dimenticati, demoliti e ridefiniti.
Durante la residenza spiega di aver voluto mettere in luce una riflessione sui monumenti urbani e la migrazione e il lavoro, ma anche sulla lotta e le aspirazioni individuali e collettive che si sono formate dalla lontananza da casa. E il suo spettacolo si rivolge alla città, ma anche ai lavoratori migranti filippini a Trieste, Monfalcone e in regione, con i temi della memoria e dell’identità. Partendo dalla propria esperienza personale e dal rapporto con molti suoi famigliari emigrati in Europa, Kristoff vede nella propria pratica una misura per ridefinire il potere e il controllo, dopo averne sperimentato l'assenza fin dalla sua infanzia. E quella pratica è stata la chiave che gli ha permesso di “nidificare” luoghi e istituzioni, sotto forma di mostre, conferenze, ricerche e interventi editoriali, portandolo a (ri)definire e (ri)modellare parti della sua identità, storia e coscienza.
Anche il suo accostamento alla fotografia viene da un doloroso ricordo personale, a sei anni, l’impatto nella sua vita al momento del recupero delle fotografie danneggiate dall'alluvione causata dal tifone Rosing del ‘95. «Il fatto che non ci fosse modo di riparare i danni a quelle immagini – racconta Kristoff - ha piantato nella mia mente il seme, che avrei capito da adulto, che i ricordi sono danneggiati come le fotografie. Senza le registrazioni dei momenti del tempo che desideriamo conservare l'oblio è imminente. Mi è stato quindi presentato un mondo di forme che scompaiono. Anche l'unica forma solida che ho conosciuto nella mia giovane vita, l'unità familiare, è crollata. Questo ha intensificato l'urgenza personale di registrare momenti, ricostruire narrazioni, memorizzare cose inesistenti solo per il gusto di farlo. La fotografia mi ha permesso di agire su questo impulso, di essere l'architetto delle forme che voglio salvare dal crollo e di quelle che permetto siano temporanee, caratteristica delle mie opere blueprint, che svaniscono organicamente come volevo».
«I monumenti urbani – conclude Kristoff - sono generalmente costruiti per commemorare un evento o una persona significativa e la loro presenza serve anche per orientarsi in una città, un paese, un luogo. Riflettono il modo in cui i nostri antenati usavano alberi, montagne e fiumi come punti di riferimento per ricordare il loro cammino. Ma cosa accadrebbe se i monumenti si spostassero improvvisamente?».
Ingresso gratuito.