Quando, nominato da poco presidente del Mag, il museo dell’Alto Garda, incrociai in una delle tante escursioni padane Marco Tanzi, storico dell’arte cui mi legavano passioni e studi, dai pulpiti lombardi di Giovanni Antonio Piatti nel Duomo di Cremona al pittore errante Joannes Hispanus, da lui celebrato a Viadana, la sua idea di un «Rinascimento sul Garda», mi sembrò una coincidenza di destini fortunata. E un altro spazio che si apriva per la più completa conoscenza del Rinascimento.
Sempre in attesa del «Rinascimento adriatico», la mostra da me pensata, in un percorso da Venezia a Terlizzi, passando per Ancona. Una seconda storia per via d’acqua, e anche più insolita e meno prevedibile. È evidente che, come il Rinascimento adriatico era nutrito da Venezia, il «Rinascimento sul lago» era l’implosione di fatti d’arte accaduti nelle provincie del lago, con le loro ricchissime culture, nelle città di Verona (e della vicina Mantova), Brescia e Trento, con i riflessi degli accadimenti in Val Camonica, tra Brescia e Bergamo, e sul contiguo lago d’Iseo, per i percorsi del Romanino a Pisogne, a Breno e a Bienno.
Condivisa la proposta, ho cercato di coinvolgere amministratori locali per contare su tre sedi, in tre province e tre Regioni. Facile e inevitabile Salò, con il nuovo museo regionale Musa; da definire, per il Veneto, Garda, Peschiera o Lazise. Ma Tanzi non ha trovato un altro Sgarbi, e l’impresa si è limitata e ristretta al Mag di Riva, dove si sono scatenate le energie di studiosi intorno a Matteo Rapanà, con piena soddisfazione di Tanzi: Luca Gabrielli, Giuseppe Sava, Luca Siracusano, Marco Mattedi. Ed è una mostra compiuta, tanto più nel momento in cui Trento, al Castello del Buonconsiglio, propone Dürer e gli altri. Rinascimenti in riva all’Adige.
Proprio a Riva e ad Arco Dürer, nel suo viaggio in Italia, certamente sostò, e vide natura e arte, assaggiando per primo i limoni che Goethe immortala: «Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni? / Brillano tra le foglie cupe le arance d’oro, / Una brezza lieve dal cielo azzurro spira, / Il mirto è immobile, alto è l’alloro! / Lo conosci tu? / Laggiù! Laggiù! / O amato mio, con te vorrei andare!». Sul lago, anche il Duomo di Salò era, ed è, un monumento inevitabile, con un’ampia articolazione del Rinascimento bresciano. Peschiera, in Veneto, entrava, nel progetto di Tanzi, come «una sorta di collegamento, per la via del Mincio, con la Mantova gonzaghesca e in primis con Andrea Mantegna, sotto l’egida del quale, era nato e cresciuto il progetto. La celebre “gita” archeologica in barca viene intrapresa il 23 e il 24 settembre 1464 dall’umanista e antiquario Felice Feliciano, insieme agli amici insigni rappresentanti del panorama culturale del primo Rinascimento quali Giovanni Marcanova, Andrea Mantegna, Samuele da Tradate e Giovanni da Padova ed è descritta dallo stesso Feliciano nei codici Memoratu digna e Jubilatio. La spedizione, che si svolge probabilmente durante l’equinozio di autunno, celebra un’impresa architettonica gonzaghesca e viene compiuta, secondo i principi dell’Accademia Romana, in memoria dell’imperatore Marco Aurelio».
Lo scopo era, umanisticamente, la ricerca di epigrafi antiche che testimoniano la grande storia del «Benacum, Oceano æmulum», cantato nella celebre ode di Nicolò d’Arco. Del progetto vedete compiuto il segmento trentino, la mostra di Riva, con dipinti e sculture, dallo stesso Mantegna, evocato in assai notevoli rilievi, a partire dalla Madonna di Verona (derivata da Donatello) di Malcesine fino al Cristo morto di Maffeo Olivieri nella chiesa di Santa Lucia a Giustino, di fattura bresciana con evidenti richiami mantegneschi, lombardi e foppeschi; mentre al mondo di Moretto e Calisto Piazza indirizza la Pietà di Stefano Lamberti a Condino. Tanzi rileva: «Occorre ribadire che la pieve di Santa Maria Assunta a Condino è una sorta di scrigno della cultura figurativa del Rinascimento bresciano, soprattutto per quanto riguarda la scultura lignea, con i capolavori di Stefano Lamberti, Maffeo e Andrea Olivieri e con una serie di dipinti legati in qualche modo allo stile di Romanino e Calisto Piazza».
Anche più mista è la cultura del polittico poliglotta di Massimeno nel quale convivono memorie tirolesi, tardo gotiche, riferimenti bresciani a Pietro Bussolo, suggestioni cremonesi alla Pampurino, come si vede nella Annunciazione, «segno evidente dell’orizzonte mentale della committenza del Trentino occidentale, aperta a intrecci di non comune ibridazione culturale», come osserva Giuseppe Sava cui si deve una ricognizione impeccabile sulla pittura settentrionale in Trentino. Dominanti negli affreschi di Muscoline e Chiarano sono le presenze nordiche (Giovanni da Ulma, restituito nei documenti, da Mauro Grazioli, a Riva e ad Arco) e veronesi (Antonio de Ventri e il maestro di Santa Maria ad nives). Ma la presenza in mostra (integrata dalla corposa documentazione in catalogo dei più notevoli cicli di affreschi a Toblino, Stenico, Arco, Riva, Calavino, per opera di Luca Gabrielli, delle sculture del Quattrocento e Cinquecento, inventariate da Luca Siracusano nel «crocevia benacense», di ogni dipinto di pittore attestato o presente in Trentino nella ricognizione di Sava) di Giovanni Demio e Francesco Gualtieri, suo fratello, è il punto d’arrivo di miei studi lontani e vicini sui grandi pittori vicentini (meglio, scledensi) che esportarono la loro visione «nordica» da Milano fino alla Calabria, una maniera originale e che ha i suoi precordi proprio nella esperienza trentina dei due eretici ed erratici artisti, ai miei tempi sconosciuta e sommersa.
Parte da qui, e si misura già nei precoci Compianti di Merano e di Lavenone, la personalissima elaborazione di motivi bresciani, tra Savoldo, Romanino e Callisto Piazza che io ravvisai nella Pala di Torrebelvicino databile al 1533-34. Scrive Sava: «Non vi è però alcun dubbio che dopo il 1525 si avverta un cambiamento di rotta e che tendano a venire meno i legami di dipendenza dall’area scaligera, mentre prende quota la cultura lombarda. Non tanto attraverso i pittori bresciani, molto più numerosi e incisivi nella Valle del Chiese, ma piuttosto grazie a due personalità maiuscole che esibiscono un percorso molto meno lineare, per non dire tortuoso, tuttavia pregno di umori lombardi. Il fulcro di questa rivoluzione porta il nome di Giovanni Gualtieri, detto Demio, l’errabondo pittore nativo di Schio che, dopo un esordio tra Vicenza e Venezia di cui ancora poco conosciamo, abbandona nel 1527 la città natale in seguito alla causa intentatagli dal socio Alessandro Verla, che aveva finito per inimicargli le massime autorità cittadine. La dolorosa rottura indirizza il cammino di Giovanni verso il Garda e verso Brescia, dove di certo si trova nel 1532. Ma il suo vagare tra Val Sabbia e le sponde del Benaco si data almeno a partire dal 1528. Lo attesta il Compianto del Castello principesco di Merano».
La mostra, con la presenza delle opere di Gualtieri e De Mio, apre scenari importanti e imprevisti sul contributo dell’arte trentina alla grande stagione del manierismo padano, dopo l’arrivo di Giulio Romano a Mantova. Le opere esposte sono la testimonianza di una curiosità e varietà di stimoli che rendono i due fratelli personalità singolarissime per la potenza plastica e il pathos che trovano corrispondenze in un’altra connessione non indagata: il rapporto con artisti ferraresi come l’Ortolano e Dosso Dossi. E, proprio come in loro, un’attenzione particolare va al riverberarsi delle situazioni sentimentali ed emotive nei paesaggi. Sempre ampi e vari, con acque, colline, monti lontani, cieli azzurri come nel Compianto di Merano; tramonto fra le nuvole e borghi abitati in riva al lago nell’Adorazione dei pastori di Gualtieri; luci d’alba e fiumi in insenature fra rocce e alberi nella natura rigogliosa del Compianto di Gualtieri a Riva del Garda. Anche più composito, con la bella e vistosa architettura che arieggia memorie albertiane e giuliesche e il paesaggio tizianesco e savoldesco, è il fondo del Compianto di Lavenone che genera riflessi nella derivazione di Preseglie con la variante di una veduta lacustre. Fu incisiva la presenza dei fratelli Gualtieri in Trentino, e ne prese spirito e atmosfere, tanto da riversarli in un loro creato, Dionisio Bonmartini, da Arco, come si vede nel San Girolamo (già indirizzato verso De Mio) per il Duomo di Salò, con il lago d’ordinanza sul fondo.