BELGRADO Marciare per commemorare e per non dimenticare. Ma anche per contrastare revisionismo e negazionismo, un problema – politico – sempre più grave nell’instabile Bosnia-Erzegovina.
L’anniversario di Srebrenica cade giovedì 11 luglio in un anno fondamentale, quello in cui l’Assemblea generale dell’Onu – tra le polemiche e la rabbia di Serbia, serbi di Bosnia, Cina e Russia – ha promosso la Giornata internazionale di riflessione e commemorazione del massacro di Srebrenica del 1995. E anche quest’anno, per onorare l’11 luglio al Memoriale di Potočari, migliaia di persone si sono messe in marcia.
È la “Marcia per la pace” (Marš mira), appuntamento sentitissimo da vittime, sopravvissuti e da tanti, moltissimi stranieri, che vogliono mantenere viva la memoria del genocidio. Tanti anche i giovani che nel 1995 non erano ancora nati. «In questo modo onoriamo tutte le vittime che non sono riuscite a farcela, i trucidati di Srebrenica. I prossimi giorni saranno difficili, ma terremo duro, vogliamo rivivere quello che vissero loro» 29 anni fa, ha raccontato Ella, di soli 14 anni, ai media bosniaci.
Ella che è una delle 5 mila persone che si sono messe in cammino tra monti, colline e fitti boschi. Nel luglio del 1995 fu un calvario affrontato da migliaia di uomini e ragazzi bosgnacchi musulmani, in un disperato tentativo di sfuggire agli sgherri comandati dal generale serbo-bosniaco Ratko Mladić, oggi condannato in via definitiva anche per quei crimini. Percorso lungo ben cento chilometri che congiunge Nezuk – il primo villaggio occupato dall’allora Armata bosniaca – a Srebrenica. Fu proprio a Nezuk che i pochi sopravvissuti trovarono la salvezza, mentre per altri 8 mila e più il destino fu ben più crudele, braccati e poi sterminati dai miliziani serbo-bosniaci nel peggior massacro in Europa dalla Seconda guerra mondiale.
Fra i pochi a salvarsi ci fu anche Resid Dervisevic, oggi 64 anni, che vide uccidere il fratello, lo zio e sei nipoti. Sta marciando verso Srebrenica anche quest’anno. Ed è qualcosa «che fa rivivere quelle emozioni» di terrore e orrore di quasi tre decenni fa, ha raccontato. Con lui cammina anche Fatima Ibrahimbegovic Alic, che a Srebrenica perse il padre. «Marcio per lui, per tutti coloro» che furono sterminati, «marcio sul percorso che fecero loro», ha detto all’agenzia France Presse. «Non si può e non si deve dimenticare un numero così alto di vittime», le ha fatto eco anche Amir, di Buzim.
Ma questo è un anno particolare. Alla Marš mira sono tante, infatti, le bandiere palestinesi e fa anche mostra di sé un grande striscione con la scritta «ieri Srebrenica, oggi Gaza, il genocidio rimane, il silenzio resta». Intanto, anche un’altra colonna ancora più dolorosa è arrivata al Memoriale-cimitero di Potočari. Trasportava altre quattordici bare, di persone assassinate a Srebrenica, ritrovate in qualche fossa comune e riconosciute quest’anno.
A Potočari riecheggeranno sicuramente le ultime provocazioni del leader serbo-bosniaco Milorad Dodik, lanciate durante una “contro-cerimonia” per le vittime serbe della guerra a Bratunac, a un tiro di schioppo da Srebrenica. E a Bratunac Dodik ha sostenuto che i bosgnacchi musulmani odierebbero «geneticamente i serbi». E che Srebrenica fu «la più grande frode della storia», avrebbe detto il nuovo Segretario generale della Nato Mark Rutte, l’accusa infondata di Dodik. —
© RIPRODUZIONE RISERVATA