Giovedì scorso, il giornalista Luca Rossi è stato ascoltato dalla Commissione parlamentare antimafia, nell’ambito delle audizioni relative alla ricostruzione della strage di via D’Amelio. Egli ha raccontato le frequentazioni amicali – in ragione della sua attività – coi magistrati Falcone e Borsellino. Lo stesso Rossi ha fornito alla Commissione spunti investigativi sul possibile movente della strage di via D’Amelio, riconducibili all’indagine cosiddetta “mafia/appalti”, come peraltro detto dall’avvocato Fabio Trizzino, che nel corso della sua audizione alla Commissione antimafia, evidenziò elementi fattuali degni di essere presi in esame.
Detto questo, non posso dubitare su quanto riferito da Luca Rossi, che nel lumeggiare i suoi rapporti coi due magistrati, racconta fatti e circostanze apprese durante gli incontri. Tuttavia, per quanto concerne altri fatti riferiti nel corso dell’audizione, sento la necessità di chiarire alcune cose riferite su Ninni Cassarà, Beppe Montana (nella foto in evidenza con me), Lillo Zucchetto e Natale Mondo. Io, in quella Mobile c’ero e mi spiace dire che quello raccontato da Rossi non equivale a verità.
Posso immaginare che la sua fonte sia stato un poliziotto. Ebbene, costui era certamente animato da acredine o gelosia verso Montana, Cassarà e finanche su Francesco Accordino, altra colonna della Mobile. E quindi, sento di dover difendere Ninni, Beppe, Natale e Lillo, ammazzati da Cosa nostra.
Entro nel merito: Zucchetto non indagava per conto suo e non era nato a Ciaculli, come afferma Rossi. Tutti noi della Sezione investigativa di Cassarà, eravamo a conoscenza di tutte le indagini di mafia: era il metodo Cassarà, tutti dovevamo sapere. Lillo non era in macchina quando incontrò alle Balate – di ritorno del sopralluogo della villa dove si nascondeva il latitante Salvatore Montalto – Pino Greco “scarpuzzedda”, Mariolino Prestifilippo e Fici Giovanni, ma era a bordo del vespone guidato da Ninni Cassarà, e fu Pino Greco, che avvedendosi di Zucchetto (lo conosceva bene), si piegò per prendere, verosimilmente una pistola.
Rossi riferisce una conversazione con Falcone su Natale Mondo, attribuendogli il ruolo di basista dell’agguato a Cassarà. Questo per me non è possibile: Natale e Ninni erano come due fratelli, e quando Natale fu tratto in arresto con quelle accuse infamanti, io feci pervenire al pm Signorino la richiesta di essere interrogato per chiarire la cristallina onestà di Natale; ma non fui chiamato a deporre. Colgo l’occasione per ricordare Roberto Antiochia, la nostra mascotte, ucciso insieme a Cassarà.
Beppe Montana non era arrogante verso le persone, la storia delle monetine (“Gettò monetine alla moglie di Greco e disse ‘andate a prendervi un caffè'”, riferisce Rossi) non mi risulta. In mia presenza non accadde mai, e comunque lo escludo. Per questo invito il giornalista Rossi a farsi dire con chiarezza in quale circostanza di tempo e di luogo le cose si siano verificate. Insieme a Beppe, arrestai mafiosi di grosso calibro, fatto perquisizioni e mai e poi mai mancò di rispetto o usato metodi inumani verso le persone.
Infine, Ninni Cassarà che avrebbe detto “non facciamo prigionieri”, frase a cui lo stesso Rossi non crede. Conoscendo Ninni Cassarà, mai e poi mai avrebbe pensato una cosa del genere. E a tal proposito, racconto un episodio significativo per escludere la frase addebitata a Cassarà. Organizzammo un appostamento per catturare Michele Greco, che era solito recarsi attraverso l’agrumeto, da Villabate a Ciaculli: sapevamo che Pino Greco e Mario Prestifilippo, con due auto (conoscevamo il modello e colore) fungevano da scorta. Dopo diversi giorni, finalmente vedemmo le due auto segnalate, che si avvicinavano verso di noi, ci divideva un alto cancello in ferro con alta recinzione.
Dalla prima auto scende una persona a me sconosciuta, che stava per aprire il lucchetto del cancello, ma appena scorge il muso della nostra auto, indietreggiò urlando: “la poliziaaaaa!”. Noi con armi in pugno non potemmo raggiungerli. Urlai ai miei due colleghi, che erano pronti a far fuoco “non sparate! Non sparate!”. Ancora oggi il collega Francesco Belcamino, al quale avevo impedito di sparare, mi ringrazia dicendo: “mi hai salvato la vita”, voleva entrare nell’agrumeto, strisciando per terra sotto il cancello. Parimenti anche l’altro collega Paolo Buscemi, è felice di non aver fatto fuoco. Riconobbi tra i cinque occupanti, Michele Greco, Pino Greco e Prestifilippo: le due auto fuggirono a marcia indietro.
Noi non eravamo killer, altro che “non fare prigionieri”. La Squadra mobile di Palermo ha pagato un enorme tributo di sangue: 10 morti ammazzati da Cosa nostra. E a nessuno di noi, figuriamoci a Montana, venne in mente di essere gelosi sulla quantità di denaro o beni in possesso dei mafiosi. Dico al dottor Rossi che a me, Buscemi e Belcamino, nel gennaio del 1983, due mafiosi offrirono 65 milioni di lire in contanti, che avevano in macchina, per non essere arrestati. Noi, dottor Rossi, eravamo animati dall’alto senso del dovere e dallo spirito di servizio.
Ninni, Beppe, Lillo, Natale e Roberto, siete e sarete sempre nei nostri cuori, riposate in pace, perché ci sarà sempre qualcuno pronto a difendere il vostro onore.
L'articolo Via d’Amelio, in Antimafia ho sentito cose non vere sulla mobile di Palermo. Spiace ma io c’ero proviene da Il Fatto Quotidiano.